I filosofi e la musica: Aristotele

Tre benefici 

“Secondo noi la musica non va praticata per un unico tipo di beneficio che da essa può derivare, ma per usi molteplici, perché può servire per l’educazione, per procurare la catarsi e in terzo luogo per il riposo, il sollevamento dell’animo e la sospensione dalle fatiche” (Aristotele, “Politica”, VIII, Utet, 2006).

 

Invece di bandire la musica dalla formazione dell’uomo, come fa Platone (pur con qualche distinguo), Aristotele ne ravvisa il decisivo valore educativo, consigliando, a tal proposito, soprattutto quelle armonie “che hanno un maggior contenuto morale”. C’è poi, accanto a quello educativo, il valore catartico della musica che consiste nel sublimare e purificare le passioni attraverso la trasposizione che ne fa il racconto. La passioni sono come spostate dalla vita reale a quella rappresentata, dalle persone in carne ed ossa a quelle fittizie della narrazione. Le sentiamo ma indirettamente, anzi più che sentirle e viverle in modo dionisiaco, le vediamo prendere forma a una certa distanza, alla giusta distanza apollinea, che non ci tocca e non ci turba, se non in modo molto relativo.

C’è infine, accanto a quello educativo e catartico, il valore diversivo della musica, forse quello più immediato, certo quello più cercato: alleggerirci la vita, allietarci il cuore, allontanarci dalle preoccupazioni del quotidiano, procurarci “innocente gioia”.

In corrispondenza con queste tre funzioni  e  con i relativi benefici della musica, Aristotele classifica poi le armonie  e le melodie, entrando nel dettaglio della forma musicale nella “Poetica”. Ma quanto detto è la sostanza. 

Stefano Cazzato

 

 

 

 

 

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