I filosofi e la musica: Jean Paul Sartre
Tempo della musica, tempo della vita
Se è vero che la musica, come vide Schopenhauer, ha il potere di strapparci, almeno momentaneamente, dal tempo e di redimere la vita dalle sue inquietudini, chi meglio di Sartre ha descritto questo stato di liberazione, questa interruzione dell’essere che attraverso la musica scioglie i suoi legami (bisogni, volontà, progetti, interessi) col mondo?
Siamo in un modesto locale della provincia francese (“La nausea”, Mondadori, 1984, pp.48-50). Qui, grazie al piccolo gesto di una cameriera che gira la manovella di un fonografo, sta per compiersi un miracolo della sospensione destinato a durare il tempo di una canzone ma a perdurare nel tempo della memoria e della coscienza.
Antoine Roquentin, il protagonista del romanzo, crede che da quel fonografo stiano per sopraggiungere le note della “Cavalleria rusticana”, com’è accaduto alcuni giorni prima. Ma no, non è la Cavalleria. E’ il jazz, anzi più precisamente “un vecchio ragtime” anni ’20, “Some of these days”, cantato da una donna di colore con una voce graffiante, con un bel ritornello che “si getta avanti come una scogliera contro il mare”, il ritmo è suadente e incalzante, “tanto è forte la necessita di questa musica che nulla può interromperla, nulla che provenga da questo tempo dove il mondo s’è arenato”.
Quello che accade a Roquentin è che la sua nausea, quella nausea che sente dentro di sé, fuori di sé, attorno a sé, che accompagna malinconicamente le sue giornate, che morde col tedio la sua vita, “ è scomparsa … Di colpo … Nel tempo stesso la durata della musica si dilatava, si gonfiava come una tromba d’aria. Colmava la sala con la sua trasparenza metallica. Schiacciando contro i muri il nostro tempo miserabile. Io sono dentro la musica”. E fuori dall’esistenza.
Stefano Cazzato