I filosofi e la musica: Joseph de Maistre
La musica è come la birra?
Conservatore, ultracattolico e reazionario come pochi in politica, ma moderno, anzi postmoderno, nei giudizi liberi dai condizionamenti ideologici: sembra che si possa dire questo di Joseph de Maistre, almeno a giudicare da un suo scritto sull’arte (Il bello non è che convenzione e abitudine) che, in poche righe e con un gusto inimitabile del paradosso, soppianta secoli di platonismo e universalismo estetico.
La fa breve de Maistre: una musica come quella di Giovanni Battista Lulli (compositore e direttore d’orchestra italiano naturalizzato francese presso la corte di Luigi XIV) che nel Seicento riempiva di lacrime gli occhi delle belle dame parigine, oggi, forse, farebbe sorridere.
Passa il tempo, i gusti cambiano, la percezione segue altre traiettorie, gli occhi, e le orecchie, guardano da un’altra parte, e il soggetto trionfa definitivamente sull’oggetto. E quelle “modulazioni italiane, sposate, contro ogni buon senso, a parole francesi” che una volta mi procuravano un vero piacere, un secolo dopo …
Il fatto è - aggiunge de Maistre - “che, in tutte le arti, ciò che viene chiamato l’effetto deriva da una folla di circostanze collaterali e risulta molto più dalle disposizioni di chi lo prova che da certi principi naturali messi in opera dall’artista.
L’uso agisce prodigiosamente sui nostri gusti in tutti i campi. Come mai questa birra, che mi diede il voltastomaco la prima volta che l’assaggiai, è ora diventata per me una bevanda gradita? Effetto dell’abitudine.” (Cinque paradossi, Morcelliana, 2009, p.52)
Ma ci si può veramente abituare a tutto? A una birra calda? A una musica fredda? A una persona tiepida? Persino a un pensatore infuocato ed estremo come de Maistre? O ci sarà sempre, e per fortuna, qualcosa che continuerà a darci il voltastomaco?
Stefano Cazzato