I filosofi e la musica: Karl Popper
Ma che musica maestro!
La musica come creatività e come improvvisazione, come libertà e come trasgressione, è proprio quella che Platone mette al bando nella sua Città ideale disegnata nella “Repubblica”. Non che il Maestro sottovaluti il valore formativo di questa arte. Tutt’altro!
Solo che c’è musica e musica, musici e musici così come c’è politica e politica, politici e politici. C’è la musica che viene direttamente dagli dei e la musica che ce ne allontana, quella canonica e quella deviante, quella che serve a formare animi nobili, come si usa a Sparta, e quella che rende molli, come si usa ad Atene, la musica che può servire alla costruzione e all’organizzazione dello Stato aristocratico e la musica che può, in casi estremi, ostacolarne la costruzione o contribuirne alla distruzione.
È inutile citare (sono talmente tanti, soprattutto nella Repubblica) i passi in cui il Maestro esalta il primo tipo e sospetta del secondo, fino a bandirlo dal percorso educativo dei giovani che, se venissero in contatto con forme insubordinate di arte, ne verrebbero corrotti.
Più di Platone conviene citare invece uno dei suoi avversari contemporanei, il filosofo che più di tutti lo ha combattuto attribuendogli la celebre accusa di “totalitario”. Stiamo parlando di Karl Popper che alla pagina 79 de “La società aperta e i suoi nemici, vol.1”, scrive: “ Non solo la poesia, ma anche la musica nel senso stretto del termine deve essere controllata da una rigida censura ed entrambe devono essere integralmente finalizzate al rafforzamento della stabilità dello Stato, rendendo i giovani più consapevoli della disciplina di classe e quindi più pronti a servire gli interessi di classe. Platone finisce col dimenticare che funzione della musica è quella di rendere i giovani più gentili, perché egli richiede delle forme tali di musica che siano capaci di renderli più prodi, più fieri (Se si tiene conto che Platone era Ateniese, le sua argomentazioni a proposito della musica in senso stretto mi appaiono incredibili nella loro superstiziosa intolleranza, se confrontate con una più illuminata critica contemporanea)”.
Se ha ragione Karl Popper, che di motivi per criticare Platone ne ha da vendere, verrebbe da chiedersi: ma che musica è questa, Maestro, che ha il dovere di rendere i giovani fedeli a una causa che non hanno scelto, a una società che non hanno sognato e a un mondo che è stato calato dall’alto sulle loro teste? Serve a questo la musica?
Stefano Cazzato