Gadamer, L'orizzonte della comprensione. I filosofi e la musica di Stefano Cazzato

I filosofi e la musica

Hans Georg Gadamer: l’orizzonte della comprensione 

In “Verità e metodo”, uno dei classici del pensiero contemporaneo, solo in due passi Hans-Georg Gadamer parla della musica. Ne parla di passaggio, come un riferimento incidentale, all’interno di un discorso più generale sull’opera d’arte. Un lettore, anche puntuale,  che sia preso però dalle questioni più ampie e più serie che vengono sollevate da quel libro epocale, non presterà particolare attenzione a questi passi che gli sembreranno sì funzionali ma marginali.

 

Io stesso, confesso, di non averli mai considerati né del resto li ricordavo. Non ho riscontrato sottolineature risalenti agli anni di studio, e questa è la prova che non mi avevano colpito. Poi con gli anni si impara a dare peso a qualche margine, e allora quello che era rimasto sullo sfondo ritorna in primo piano: per motivi di studio, in modo serendipitoso o soltanto  perché ci si è preso il piacevole compito di intrattenere con divagazioni estetiche qualche amico che legge Romainjazz (pare tuttavia che questi amici comincino a essere in tanti).

“ Solo quando comprendiamo un testo – scrive Gadamer  in queste righe sottratte all’oblio – solo allora può essere per noi un’opera d’arte letteraria. Persino quando, per esempio, ascoltiamo musica <<pura>>, dobbiamo <<capirla>>.  E solo quando la comprendiamo, quando per noi è <<chiara>>, essa è presente per noi come forma artistica. Sebbene quindi la musica pura sia un movimento formale, una specie di matematica sonora, e non vi siano in essa contenuti oggettivamente significanti, il comprendere mantiene tuttavia un rapporto con la significatività … Il puro vedere, il puro udire, sono astrazioni dogmatiche, che riducono artificiosamente i fenomeni. La percezione coglie sempre un significato. E’ quindi un assurdo formalismo, che per giunta non può richiamarsi a Kant, quello che pretende di trovare l’unità del prodotto estetico esclusivamente nella sua forma in contrapposizione al contenuto” (Hans Georg Gadamer, “Verità e metodo”, Bompiani, 1995, pp.121-2)

In piccolo, ecco il ragionamento del grande Hans: va benissimo la musica pura, ma possiamo definirla opera d’arte? Dove sta, se c’è, la quintessenza di un’opera d’arte? Sta nella testa dell’artista, che rimanda a se stesso, o nel circolo ermeneutico, nella fusione di orizzonti che l’artista instaura con il fruitore?

Perché ci sia fusione, però, deve esserci comunicazione. Non importa che il contenuto comunicato sia informativo, formativo o performativo, che attraverso la musica si apprenda, si formi una coscienza civile e morale o, semplicemente, ci si diverta, ci si emozioni, si pianga o si rida.  Importa che un contenuto  arrivi a un destinatario e che il destinatario, comprendendolo,  ne venga sua volta compreso, toccato, modificato, e non sia più quello che era prima.  Non so come si chiama questa potenzialità straordinaria della musica e, in genere, dell’arte: forse espressività! O forse è il caso di chiamarla proprio comprensione. Diciamo, allora, che si ha comprensione quando l’artista, vincendo la tentazione dell’autoreferenzialità e della purezza formale,  ha la capacità di prendere con sé lo spettatore-lettore-ascoltatore e di portarlo nel suo mondo. Quindi di comprenderlo.

Stefano Cazzato

 

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