Le Parole della Musica
Luigi Tenco, Mi sono innamorato di te
Un Incipit insolito, più complesso di quelli che troviamo nelle altre canzoni di Luigi Tenco, come se ci si potesse innamorare per noia…
Mi sono innamorato di te
perché non avevo nulla da fare
No, per Tenco era necessità di Poesia nella vita, dopo giorni e giorni di Silenzio nell’Attesa, forse perché spesso amò la persona giusta nel momento ingiusto e la persona non giusta nel momento giusto…
Luigi Tenco, un sopravvissuto all’urgenza ideologica del Neorealismo, un cantante-cantautore pungente nel momento più creativo del Beat italico, un uomo dai viaggi spirituali solcati dal gelo sferzante di una realtà con la quale era sempre difficile fare i conti. Un istinto di sopravvivenza debole, debolissimo, al quale non avrebbe avuto senso resistere, in un periodo storico forse avvertito come troppo difficile: le avanguardie politiche, gli intellettualismi incendiari, gli esistenzialismi incerti, un’ ipnosi dell’Io da parte della classe media di fronte alla protesta e all’urgenza sociale del cambiamento e della rottura con i vecchi dogmi e le tradizioni dormienti, come affermò, riferendosi proprio a Tenco, Salvatore Quasimodo in un articolo su “Il Tempo” del 10 febbraio 1967.
Tenco cantava:
Mi sono innamorato di te
perché non avevo nulla da fare
Ma perché?
Credo una Fuga dalla Noia leopardiana, dalla Nausea di Jean-Paul Sartre ma non dal suo umanesimo ateo, da insoddisfazioni frustranti, dall’inerzia morale che vedeva intorno a sé, dalla disaffezione verso una realtà avvertita in antitesi all’Amore e all’Arte come movimento dell’Anima nel quale cercare il proprio Vuoto, il proprio Punto di Quiete dove, liberi, scalciare l’Indifferenza e l’Impersonalità di ciò che quella generale mediocrità sociale considerava sazietà emotiva.
Il messaggio, sia nel testo che nell’interpretazione vocale bruna e sofferta, correva fra le tante banalità del Mondo, alle quali nel ’62 rispose in un’intervista Rai con Sandro Ciotti:
« La mia più grande ambizione è quella di fare in modo che la gente possa capire chi sono io attraverso le mie canzoni, cosa che non è ancora successa. »
Tenco spiegò quei versi in un'intervista a Epoca: "In un paese come il nostro dove l'amore gronda convenzione in ogni sua descrizione ufficiale, l'affermazione è suonata come una bestemmia, ma se avessimo tutti un briciolo di coraggio, quanta verità scopriremmo in questa sincera dichiarazione. Tanto più che il mio innamorato viene alla fine invaso da un sentimento vero che lo spinge a cercare tutta la notte la donna che ama" (Cit. in "1000 canzoni che ci hanno cambiato la vita" di Enzo Guaitamacchi, Rizzoli 2009).
Il cantante piemontese anticipò i temi del Sessantotto, fu un rivoluzionario diverso, ignorato dalla Critica e denigrato dal democristianesimo più perbenista, poiché il suo modo di essere spirituale non era consentito dall’Agitazione morale che a se stessi avrebbero voluto negare gli Infaticabili Vaticanisti, bugiardi impauriti dalla forza anarchica con la quale egli esprimeva la sua coerenza, la sua filosofia senza compromessi:
« Io compromessi non ne ho fatti mai, con nessuno, perché non ne so fare, non riesco a venire a patti con la coscienza, cioè con certe mie convinzioni. Io sono come sono. E poi la mia non è una protesta che nasce intellettualmente, con il fatto di dire “adesso io “... Cioè io insomma le canzoni come le fa Gianni Morandi non le so fare. »
(Luigi Tenco al "Beat 72", Roma 1966)
La canzone fu pubblicata nell'LP “Luigi Tenco” del 1962. Il brano, con l'arrangiamento di Giampiero Boneschi, fu poi inciso per la Ricordi nel novembre 1964 come Lato A del 45 giri “Mi sono innamorato di te/Angela”. Critica e pubblico furono molto tiepidi, Radio Rai la mandò in onda pochissimo poiché ai Quadri dell’ente – pessimi, ma veri opinion makers di quegli anni - interessava ben altro, tra lo “scandalo” della ”musica del diavolo”- il Rock, il Blues e certo Jazz; scandalo dall’audience enorme - e le “ugole dorate” che sviolinavano amoretti ornamentali, mammine buone buone , belline di buona famiglia, poesiole ubertose su bacetti e carezzette.
Anche questo lasciò una traccia indelebile nel Cuore di chi si sentiva Cantautore in un Tempo del quale riformare il Sistema con grande coerenza e passione civile.
Ma non si può parlare di Luigi senza ricordarne l’ultimo atto, che è la chiave di lettura di questo brano come di tutta la sua vita artistica.
Per i motivi indicati l'eliminazione di “Ciao, amore ciao” al Festival di Sanremo del 1967 esplose nel suo Cuore: gli fu comunicata mentre stava dormendo su un tavolo da biliardo. Prima riconfermò di volersi dedicare solo alla carriera di compositore e abbandonare quella di interprete, poi se la prese con l'amico Piero Vivarelli e con Marcello Minerbi dei Los Marcellos Ferial, imputandogli di essere stato colui che l'aveva introdotto nel mondo della musica. A prendere con maggior filosofia l'eliminazione fu invece Dalida,“seconda voce” sanremese della canzone, che invitò Tenco a un brindisi (Gianni Borgna, L'Italia di Sanremo, Mondadori, 1999), ma lui prese le scale del suo hotel stanco e scuro in volto, evitando lo sguardo dei pochi che avevano intuito il reale motivo della sua amarezza.
Si chiuse in camera. Uno sparo. Uno sparo che nessuno udì.
« Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt'altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda “Io tu e le rose” in finale. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi. »
Questa la breve pagina del suo Addio.
Gino Paoli e Ornella Vanoni raccontano che, deluso dell'eliminazione, Tenco avesse bevuto cognac o whisky e assunto di nuovo molte pastiglie di Pronox: nella stanza fu ritrovata una scatola vuota del barbiturico, che tra gli effetti indesiderati ha il possibile aumento di ideazione suicida, ”di sicuro questa sostanza gli causò uno stato di forte alterazione psicologica, tale da spingerlo al tragico gesto” (TG Com 24, 5 marzo2013).
Ma il motivo era ben diverso, e nessuna alterazione nel lucido progetto.
E “Non avevo nulla da fare”, cantava Tenco…
E adesso
non so neppure io cosa fare
il giorno
mi pento di averti incontrato
la notte
ti vengo a cercare.
Ti vengo a cercare, senza temere sbagli e perdite: perché di notte è più facile cercare fra i sogni che stemperano il desiderio di sparire, senza la necessità diurna di aver dovuto constatare un Mondo senza Amore. Perché di Notte non esiste necessità di pentimento. Perché di Notte spesso non c’è bisogno di saper quel che fare, né di Passato né di Futuro, né di Arrivi né di Dipartite. Perché “I giorni vengono distinti fra loro, ma la notte ha un unico nome”(Elias Canetti). Perché la Notte ”è magnifica per ascoltare storie” (Antonio Tabucchi). Perché la Notte “come il ricordo, sopprime i particolari inutili” (Jorge Luis Borges).
Perché di Notte si può capire senza intendere. Anche il proprio, definitivo, Addio.
Egozero