Apocalypse Now: l’Inferno dell’Anima nella fotografia di Vittorio Storaro
Apocalypse Now è un film del 1979 diretto da Francis Ford Coppola, la fotografia è stata curata da Vittorio Storaro.
L’opera è considerata uno dei più importanti film di guerra di sempre, vincitore della Palma d'oro al 32º Festival di Cannes e di due premi Oscar per la migliore fotografia a Vittorio Storaro e per il miglior sonoro a Walter Murch.
La pellicola narra la guerra del Vietnam attraverso le vicende del capitano Willard intento a scovare e uccidere il colonnello Kurtz, completamente impazzito e da tempo disertore. Kurtz, un tempo ufficiale modello, comanda una legione di truppe-sudditi nella foresta cambogiana; prima di Willard un altro ufficiale era stato incaricato di occuparsi di lui, ma si era alleato con il colonnello, plagiato dalle sue teorie etiche sulla guerra e sull'esistenza.
Particolarmente significative dal lato ideologico sono alcune parti del suo celebre monologo: ''Non hai il diritto di chiamarmi assassino, hai il diritto di uccidermi, hai il diritto di giudicarmi'' ,''Ci vorrebbero uomini con senso morale ma che allo stesso tempo siano capaci di utilizzare i loro primordiali istinti per uccidere senza emozioni''. Allo stesso modo la voce fuori campo che racconta lo stato d'animo di Willard: ''Sul fiume pensavo che appena lo avrei visto avrei saputo cosa fare ma non fu così, rimasi giorni là dentro con lui senza sorveglianza: ero libero ma lui sapeva che non sarei andato in nessun posto, sapeva più lui di quello che avrei fatto di quanto ne sapessi io. Se i generali laggiù avessero potuto vedere quello che vedevo io avrebbero ancora voluto che lo uccidessi? Che cosa avrebbero voluto i suoi a casa se avessero mai saputo quanto si era allontanato da loro? E poi da se stesso…Non avevo mai visto un uomo così distrutto, così a pezzi'', affermazioni che evidenziano l'aspetto psicologico e morale dei personaggi rappresentando la guerra come espressione di disumanizzazione dell'individuo che progressivamente conduce alla follia, ponendo l'accento sulla dimensione onirica dell'esperienza militare. La concettualizzazione di tali aspetti interiori è uno spunto di riflessione sui rapporti umani, sul confronto, sulla relatività culturale, sull'etica e sull'insensatezza della guerra; pertanto il film può essere considerato come una critica tutt’altro che indiretta alla politica statunitense di quegli anni.
Apocalypse Now è un film che, nonostante siano passati più di trent'anni dalla sua realizzazione, risulta assolutamente attuale sia per il modo in cui vengono affrontati i diversi temi sul dilemma morale della guerra in Vietnam, disegnato nell’Enigmatico Male del colonnello Kurtz (un magnifico Marlon Brando) e nella Complessità del Bene del cupo e tormentato capitano Willard (un sofferto ed intenso Martin Sheen), sull’Oscuro della personalità umana di fronte alla crisi dei Valori morali e alla soluzione della guerra come “orrore necessario” (parafrasando il monologo finale del “traditore” Kurtz, ex eroe ed ex enfant prodige dei paracadutisti americani), ma anche per ragioni stilistiche dovute ad una Fotografia che è stata modello per tante pellicole successive, un esempio dato dal Maestro nella sua lezione su Caravaggio all’Università LULM di Milano nel novembre del 2016 (nella quale affermò: “Quella volta sul set di “Apocalypse now” per illuminare Brando pensai subito alla “Vocazione di San Matteo”) e nella sua “scrittura di luce” di “Reds” di Warren Beatty (1981) e de “L’ultimo imperatore” di Bernardo Bertolucci (1987), lezioni su Luci-Ombre-Colori pubblicate nella Trilogia della Electa in collaborazione con l'Accademia dell'Immagine dell'Aquila, dove Storaro insegna da molti anni.
La fotografia è coerente con la linea drammaturgica dei personaggi e della trama, liberamente tratta dal romanzo “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad, e presenta complessivamente tonalità contrastate, spesso crepuscolari e talora visionarie, che metaforicamente rappresentano il conflitto interno degli uomini in guerra, ambientazione interiore che emerge in ogni scena della pellicola, peraltro supportata da una Colonna Sonora di eccellente qualità artistica scelta dallo stesso regista, dall’efficace Montaggio di Lisa Fruchtman, Gerald B. Greenberg, Richard Marks e Walter Murch, dall’adeguata Scenografia di Dean Tavoularis, Angelo P. Graham e George Nelson.
Nella scena iniziale il capitano Willard viene presentato con un primo piano che compare in dissolvenza incrociata su una carrellata da sinistra verso destra che racconta i bombardamenti con gli elicotteri. L'inquadratura ha delle tonalità calde, tendenti al rosso e contrastate, in cui vengono esaltati i neri. Tale utilizzo dei colori, insieme alle scelte registiche e alla colonna sonora, crea un’atmosfera cupa e inquieta proiettando lo spettatore in una dimensione surreale.
Nella scena del dialogo in cui Willard viene informato dai suoi superiori circa l’enigmatica vicenda di Kurtz, il capitano è rappresentato con un primo piano in cui viene illuminata solo la parte destra del viso. Tale ''gioco di luci e ombre'' rende l'immagine maggiormente tridimensionale rispetto ad un’ ipotetica realizzazione con un solo punto luce frontale, in cui l'intero viso sarebbe illuminato in modo uniforme e ne risulterebbe un’ inquadratura estremamente piatta.
Nella scena in cui Willard è accampato con l'esercito statunitense prima dell’attacco ad un villaggio controllato dai Vietcong da parte della Prima Divisione della “Cavalleria dell’Aria”, gli elicotteristi dell’esaltato tenente colonnello William “ Bill” Kilgore interpretato da un formidabile Robert Duvall (scena indimenticabile nella storia del cinema: il tenente colonnello fa suonare a tutto volume, tramite altoparlanti installati sugli elicotteri, la celeberrima Cavalcata delle Valchirie di Richard Wagner per galvanizzare il morale del suo reparto e spaventare i nemici), le inquadrature, realizzate in esterno notte sono illuminate al centro tenendo oscurati i margini; un uso della luce che ricorda lo stile caravaggesco.
Caravaggio, L'ultima cena
Come si sottolineava, la scena della partenza degli elicotteri è una delle più famose della storia del cinema. Grazie alle tonalità prevalentemente calde del cielo e al colore molto scuro delle palme ed al forte contrasto cromatico fra i toni aspramente luminosi di un’alba rossastra ed il tetro buio della giungla, riesce ad essere molto avvolgente; la fotografia, insieme alla colonna sonora, trasmette una profonda sensazione di angoscia e un umiliante senso d'impotenza dell'uomo verso la guerra.
La fotografia cupa e fredda descrive egregiamente i dubbi di Willard che, riflettendo su Kurtz, comincia a pensare se realmente il colonnello meriti la morte.
Willard legge i dossier. Voce fuori campo: ''Più leggevo e cominciavo a capire, più lo ammiravo''. I dubbi diventano sempre più forti. La scelta di illuminare solo il viso, ponendo in oscuro secondo piano lo sfondo, grazie alle marcate sfumature fra il nero ed il blu, proietta lo spettatore nell’indagine psicologica sull'angoscioso misticismo con il quale Willard vive il cinismo spietato della guerra. Un dualismo nel quale il buio dello sfondo è buio che circonda e affonda l’anima, vicina al perdersi della Coscienza tra l’Inferno dell’Inconscio e la fredda Razionalità ordinata a Willard dal Comando Militare di Saigon.
In un conflitto a fuoco Willard resta immobile e quasi indifferente; l'illuminazione sul suo primo piano, data da una luce diegetica (un faro davanti al quale i soldati si muovono), cambia velocemente facendo vedere momenti di buio completo. Questa scelta, oltre ad essere molto realistica, enfatizza ancora di più lo stato d'animo del personaggio, evidenziando i dubbi descritti precedentemente che gradualmente convergono in un minimalismo psicofisico (l’apatia del dare poca importanza a quello che succede per i suoi dubbi, per la situazione altrimenti non sarebbe rimasto fermo in un conflitto a fuoco.
Willard sta arrivando al nascondiglio di Kurtz, la voce fuori campo narra ''una parte di me aveva paura di ciò che avrei fatto e di quello che avrei trovato arrivando lì. Conoscevo i rischi o immaginavo di conoscerli ma ciò che provavo al di sopra di tutto, molto più forte della paura, era il desiderio di affrontare Kurtz''. Adesso Willard, nonostante sia esausto e dubbioso sulle effettive colpe di Kurtz, vuole affrontarlo. La fotografia è calda e contrastata, i colori sono molto suggestivi.
Il colonnello Kurtz viene presentato con la testa e il volto completamente oscurati, il pubblico ne sente solo la voce. Successivamente viene illuminata la testa, poi molto lentamente il volto. Tali scelte aumentano la suspense di un personaggio che fino ad ora è rimasto avvolto nel mistero.
Kurtz - personaggio enigmatico e misterioso, causa dell'irrisolvibile conflitto interiore di Willard che simboleggia il dilemma morale sulla guerra, sull'esistenza e sulla convivenza tra le diverse civiltà - viene quasi sempre oscurato (completamente o in parte) quando dice a Willard ''Ha il diritto di uccidermi, non ha il diritto di chiamarmi assassino; ha il diritto di far questo, non ha il diritto di giudicarmi'',oppure, nel suo incredibile monologo sull'Orrore, in cui grazie alla fotografia sembra una divinità sospesa nell'oscuro vuoto che pontifica sull'etica della guerra facendo emergere tutto il suo malessere, la sua frustrazione e la sua indignazione.
Voce fuori campo del capitano Willard: ''Mi avrebbero promosso Maggiore per questo e non ero nemmeno più nel loro esercito del cazzo. Tutti volevano che lo facessi, lui più di ogni altro. Sentivo che lui era lassù, in attesa che io lo liberassi dal dolore, voleva solo morire da soldato,in piedi, non come un povero rinnegato perso e stracciaculo. Persino la giungla lo voleva morto, ma da essa in realtà lui prendeva ordini'' . Willard si sta preparando ad uccidere Kurtz, si tuffa nel fiume. La fotografia molto contrastata e l'alternanza luci/ombre rende l'immagine decisamente visionaria, in linea con l'atmosfera immaginaria e delirante che si percepisce in questa sequenza filmica, nella quale l'uccisione del colonnello si alterna con il simbolico abbattimento di un toro. E’ la fine di un incubo e forse l’inizio di un altro; la Fine, come nel brano dei Doors “The end”, scelto per rendere perfettamente efficace la “narrazione fotografica” del film.
Jacopo F. Ciccarelli