Astrid Varnay e Birgit Nilsson
Due voci per Wagner: Birgit & Astrid (...o vice-versa)
25 Aprile 1918: a Stoccolma nasce, da genitori ungheresi, Ibolyka Astrid Maria Varnay, che resta solo i primi 4 anni in Svezia, per andare con la madre e il padre prima in Argentina e poi, dal 1924, a New York. La bambina è figlia di due cantanti d'opera, è molto precoce sia per il canto che per lo studio delle lingue. Alla fine degli anni 30, neanche 20enne, è notata da Kirsten Flagstadt, il più celebre soprano wagneriano dell'epoca, e avviata agli studi alla scuola del Metropolitan.
A Dicembre 1941 (coincidenze della storia! Attacco a Pearl Harbour), Lotte Lehmann, celeberrimo soprano lirico anche wagneriano, è malata, e il ruolo di Sieglinde in "Valchiria" è vacante; sotto indicazione (pressione?) della Flagstadt, la 23enne svedese inaugura la sua carriera internazionale, e intercontinentale, sotto il segno di Wagner. La recita è un trionfo ma...
17 Maggio 1918: In una cittadina del sud della Svezia sopra Malmö, nasce Marta Birgit Svensson, pseudonimo di Birgit Nilsson, da genitori entrambi svedesi. A 3 anni alla bambina viene regalato un piccolo pianoforte: comincia lo studio e la passione per la musica; una giovinezza regolare e non molto movimentata. Ma la passione del canto sta per esplodere.
1945: la guerra è finita lasciando il continente devastato, ma non la Scandinavia, che ha offerto rifugio a molti artisti e intellettuali. Tra essi Fritz Busch, celebre direttore sinfonico e d'opera, forse più di opera. Ha messo gli occhi addosso alla giovane soprano e, nel '47 con la Lady Macbeth verdiana, a Stoccolma nasce quella che, per il momento, è una stella, una giovane promessa tutta svedese, solo svedese.
Gli anni 40, per la giovane Astrid sono quasi solo costellati di successi made in USA, se si salva la parentesi londinese del '48: le vengono proposti (io dico quasi imposti) i ruoli più pesanti del repertorio wagneriano in primis, ma anche verdiano, tardo ottocentesco e verista. La voce è possente e molto voluminosa, ma l'ascolto della Sieglinde del '41, preparata in soli 6 giorni, non convince del tutto: gli acuti ci sono, eccome, ma sono poco fluidi, e passa per la testa il sospetto di studi incompleti.
Questi dubbi crescono con il passare degli anni. Il Metropolitan di New York è un tritacarne, un tritavoci, forse il più responsabile; ma altri teatri americani sono correi. Ovviamente soldi e fama piovono a catinelle, lo strumento risponde sempre ma i "calci" di diaframma e l'emissione poco fluida, permangono.
E siamo alla leggendaria inaugurazione della "Neue Bayreuth", anno 1951, estate. L'incontro con i wagneriani di tutto il mondo sulla sacra collina, dopo le follie e le devastazioni belliche.
Per la Tetralogia, "L'Anello del Nibelungo", si alternano sul podio, dopo il rifiuto di Furtwangler, due generazioni differentissime: Hans Knappertsbusch, apostolo della tradizione mistico-tragica del dettato wagneriano ultrasessantenne, e Herbert Von Karajan (il "das Wunder Karajan" che a 30 anni, nel '38, strega i Berlinesi con un leggendario "Tristano"!), ora quarantenne lanciatissimo da Walter Legge prima a Vienna, poi a Londra. “Ring” lucente, teso, nervoso, traboccante della massima tensione lirica.
A chi il ruolo tremendo di Brunnhilde? Si chiede? Ma ad Astrid...of course! Rifiutare un invito così esaltante per le platee wagneriane del pianeta...giammai.
Intanto, in Svezia, la carriera della giovane Birgit procede senza colpi di scena: vengono aggiunte nuove parti, anche italiane, al repertorio finché...anno di grazia 1954, convocazione a Bayreuth, ruolo Elsa, in “Lohengrin”, soprano squisitamente lirico: siamo a 36 anni e quello che si ode attraverso la leonardesca trama orchestrale di Eugen Jochum è una voce freschissima, candida, con una facilità di acuti e di volume trascendentale; la Nilsson inaugura la sua stagione d'oro con una Elsa immacolata, come le più pure porcellane scandinave.
Tornando ad Astrid, cosa rimane oggi del leggendario Ring del '51? Un Terzo Atto di “Valkiria” e un “Sigfrido” con Karajan; e un “Crepuscolo degli dei” con Knappertsbusch…Terzo Atto registrato EMI, di suono discreto ma un po' duro, “Sigfrido” registrazione Radio Bavarese live non male; meglio,molto, pure se mono ovviamente, il “Crepuscolo” Decca mai pubblicato, riversato sotto marchio Testament.
Interprete di una intensità spasmodica, fosforescente, ma con due direttori che, per strade diverse, tendono, diversamente, a sommergerla con l'orchestra wagneriana, data anche la dimensione celebrativa, quasi sacra della Inaugurazione. La voce torreggia sempre, ma i “calci” in zona acuta non sono pochi: molto meglio sarà nel '53 con Clemens Krauss, bacchetta magica e medicamentosa, che respira con i cantanti commisurando la forza orchestrale al testo reale; e allora si potranno legge tutte le molte luci di questo enorme strumento (per molti il Ring live per eccellenza).
Da questo momento entrambi i soprano lasceranno la loro impronta nella storia.
Chi cerca la linea di canto perfetta, l'interpretazione classica, tradizionale e maestosa, non può non ritrovarsi, per le registrazioni oggi storiche, che nel taglio Nilsson, sempre ammirevole, rassicurante, con una longevità vocale mostruosa. Ma oltre Wagner la Nilsson è stata anche altro.
Cose notevoli nel repertorio operistico tedesco dal “Franco Cacciatore”, a “Fidelio”, come a “Salome”, “Elektra”. Interessanti excursus nel melodramma italiano; prima tra tutte una gigantesca Turandot, una bella Minnie e una Tosca da studiare: come per Verdi Lady Macbeth, Amelia, Aida, Messa da Requiem: é stata a volte contestata una certa freddezza emotiva, soprattutto in certe registrazioni in studio; ci sta del vero, ma dipende, da ruolo a ruolo. Può anche darsi che non abbia trovato direttori in grado di coinvolgerla maggiormente, oltre lo scudo d'acciaio di una vocalità smagliante.
Per la Varnay vale il discorso al contrario: ci sono quasi solo registrazioni live; anche in questo caso non mancano interessanti excursus più o meno nelle stesse aree e con ruoli molto simili a quelli della Nilsson: fino alla fine degli anni '50 la voce risponde a tutte (o quasi) le sollecitazioni. Ma, come fanno fede i live di Bayreuth, dal 1960, poi '62, poi '64, lo strumento si "incricca" e le note sopra al pentagramma tendono all'urlo, teso, metallico, del diaframma stanco, sfiancato (già in gioventù, in America). Con tutte queste pur reali mende vocali, l'interprete sorpassa spesso, e di parecchio, la collega/rivale.
Ovviamente parliamo di un Wagner oramai storicizzato ma davvero i live riscoperti negli anni '70 e poi più volte ripubblicati, nel caso della Varnay testimoniano di un’ interprete somma assolutamente in nulla inferiore alla "sublime Maria", la Callas (che, se avesse studiato il tedesco, ci avrebbe donato immense prove anche in Wagner).
I due soprano scandinavi sono nate quasi "gemellate" come luogo e anno; muoiono quasi "gemellate", a distanza di meno di 1 anno, una nella quiete della sua terra nativa, l'altra avvolta dall'amore dei bavaresi a Monaco, la stessa città che avvolgeva di amore l'immenso Hans Hotter morto due anni prima,compagno di centinaia di recite magiche, con le "sorelle", Birgit e Astrid (o forse Astrid e Birgit).
Domenico Maria Morace.
Immagine: "Tristan und Isolde", Edmund Blair Leighton, 1902, olio su tela