Patty Pravo, E dimmi che non vuoi morire (Le Parole della Musica)
Di Solitudine e d’Amor Perduto.
Nel 1997 Patty Pravo presentò la canzone al Festival di Sanremo e quasi non sembrava possibile che l’icona pop potesse interpretare in modo tanto personale un pentagramma singolarmente complesso non dal lato tecnico quanto invece imbarazzante (per i sanremesi) negli angoli testuali disobbedienti che sembravano narrare della Pravo un’immagine vera, verissima, disunita fra la classe elegantissima della mise in nero con velo trasparente, fronte al palco infiorettato in pessimo stile Rai, ed un solstizio orchestrale ai confini del banale. Davvero il Kitsch più svenevole e patetico cui ci aveva abituato la Festa del Popolino, il Rito sciocco e dispendioso di una manifestazione pagata a Milioni dai contribuenti italiani.
Ma…
Ma, sorprendentemente, c’era qualcosa in più.
Guarda, io sono la sola ormai
Credi, non c'è più nessuna che
Quando chiedi troppo e lo sai
Quando vuoi quello che non sei te
Ricordati di me, forse non mi credi
Un Incipit che ad ascoltarlo non si capiva bene cosa significasse e quale avventura raccontasse, se non una certa confusione esistenziale detta dal “sola”, dal “troppo”, dal “forse”(forse troppo sola?) ed evangelizzata da un “non mi credi” a perfetta misura della donna inquieta e affascinante che Patty Pravo, più d’ogni altra, sapeva impersonare (o meglio poteva esser davvero) su un palco-scena di vita, disinibita, sincera, oltre ogni moda morale.
Sguardi, guarda sono qui per me
Non ti ricordi, eri come loro te
Tutti quanti sono degli eroi
Quando vogliono qualcosa, beh
Lo chiedono lo sai, a chi può sentirli
Sguardi e Ricordi. “Eroi quando vogliono qualcosa”. Sì, lo sappiamo quanto si può esser Eroi quando si chiede tout court in assenza di sentimenti. Parole che solo una donna avrebbe potuto dire. Una canzone al femminile – sembrava - finalmente…
La cambio io la vita che
Non ce la fa a cambiare me
Bevi qualcosa, cosa volevi
Vuoi far l'amore con me
La cambio io la vita che
Che mi ha deluso più di te
Portami al mare, fammi sognare
Ed allora cambiare anche disposta a far l’amore pur di sognare, ma di un sogno consapevole: una triste coscienza di accettare il gioco sessuale pur di sopravvivere agli sbalzi storici e maschilisti di un’Etica “da cambiare”.
Ma poi salgono le note e sale il cromatismo per il distico più noto della canzone, quello nel quale sembra trasferirsi tutta l’energia semantica del Colloquio, con tanto di implicito e inconsapevole riferimento al Roland Barthes di Frammenti di un discorso amoroso, non fosse altro che per il collage di versi, in verità un po’ scollegati fra loro in puro stile Vasco Rossi, in quegli anni visto da molti come pseudo – bohemien, tanto amato quanto autore confuso delle parole per il discreto pentagramma di Roberto Ferri e Gaetano Curreri; un monologo-dialogo composto di lampi brevi, richieste e risposte, riflessioni e deduzioni, attimi disforici e improvvise decisioni:
La cambio io la vita che
Non ce la fa a cambiare me
Un’affermazione apparentemente paradossale, un proposito che si può attuare davvero partendo dal presupposto che nessuno è completamente artefice delle proprie fortune e dalla convinzione che ognuno può mutare atteggiamento nei confronti della vita se necessario. E spesso necessario lo è. Ma non per Patty Pravo, che è rimasta quasi in tutto la stessa dai tempi del Piper e dai sette (sette!) filmetti e cortometraggi del 1967, coerente alla sua incoerenza e alle sue conversioni tanto momentanee quanto aperte a digressioni di vitali e di musica, da Pensiero stupendo del 1977 ai bei nudi del 1981 su Playboy, dalla strana ma intrigante ispirazione orientale di Ideogrammi del 1994 al “piuttosto innovativo” del 2004 di Nic-Unic (“Nicoletta Unica”), dall’omaggio a Dalida nel 2007 (Spero ti piaccia…pour toi), pur fedele a quel linguaggio beat ed infamiliare enunciato nei suoi momenti più convincenti: Non andare via (1970, ovvero la bellissima Ne me quitte pas dei tempi esistenzialisti di Jacques Brel), Tutt’al più (1971), Pazza idea (1973), Pensiero stupendo (1978). E lasciamo perdere piccole stoltezze non più all’altezza del suo innegabile Carisma, eradendo Ragazzo Triste, La Bambola, Il Paradiso e via dicendo.
L’elegante maquillage delle variazioni cromatiche dal medio-basso all’acuto “tenuto” torna nel finale:
Hai una donna che se non ci sei
Come fa a resistere senza te
Piangi insieme a me, dimmi cosa cerchi
“Dimmi cosa cerchi”. Nessuna possibile risposta E chi ne ha ne dica.
E Dimmi che non vuoi morire è una delle canzoni più amate dal pubblico italiano, una delle più cercate sulle piattaforme digitali, un numero infinito di cover da quelli che la musica la fanno professionalmente (Roberto Ferri, Vasco Rossi, Gaetano Curreri, Stadio, Noemi, Massimo Di Cataldo, Miriam Acquaviva, Olivia Sellerio: nessuno all’altezza) e da chi più o meno onorevolmente sbrindella note a feste di paese, talent show e matinées televisive per brave famiglie, una delle più richieste evergreen da karaoke e un must per riflessioni intellettualistiche di radical chic e avventati cultori di versi "popolareggianti", come spesso accade a brani che in realtà andrebbero conservati così come sono stati concepiti e, nel caso del fascino svagato di tale Madame, magistralmente interpretati.
Cosa in più? Il Singolo venne pubblicato dalle etichette discografiche Bollicine ed Emi Music in coedizione, quarto nella Hit Parade e tra i più venduti e ascoltati negli anni successivi; un ottimo intervento del sax di Andrea Innesto; l’ ovvio flop al Festival di Sanremo 1997 (ottava posizione, sette dopo gli ignoti vincitori Jalisse…ma Jalisse chi?) ma giusto Premio delle Critica, come a dire come sempre: “bella canzone ma poco facile, e se pensi troppo pensi male”. Come avrebbe detto Alberto Sordi: “E che te pare?”
Egozero