Lucio Battisti, Prendila così (Le Parole della Musica)
Amori improvvisi e Veti inevitabili
Ma come narrare la fine di un Amore? Di un Amore vero, o immaginario, o necessario…
E perché mai sentire l’esigenza di doverla raccontare? E perché mai, poi, doversi liberare dal ricordo? E perché, invece, avere l’esigenza di non dimenticare?
Certo non si tratta di un Amour fou, di Tristano e Isotta, Paolo e Francesca, Anna Karenina e il conte Vronskij, Sylvia Plath e Ted Hughes, Sibilla Aleramo e Dino Campana; ma di un amore complesso sì.
Giulio Rapetti “Mogol” scrisse un testo non si sa se riferito ad un avvenimento personale (suo o di Battisti) o semplicemente all’idea di non far tragedie quando s’interrompe una relazione, indicando neanche tanto velatamente la donna come protagonista dell’abbandono; altrimenti perché quel “non ti preoccupare”?
Prendila così, non possiamo farne un dramma
"conoscevi già" hai detto "i problemi miei di donna"
certo che lo so, certo che lo so
non ti preoccupare, tanto avrò da lavorare
forse è tardi e rincasare vuoi
Lo sappiamo che Mogol è uno che allude molto e che fra le sue parole si nascondono significati “altri”, a partire da quei “problemi di donna” non del tutto chiariti (volutamente enigmatici o messi lì per esigenza riempitiva?)
Ma che sciocca sei, ma che sciocca sei
a parlar di rughe, a parlar di vecchie streghe
meno bella certo non sarai
Poniamo la Tesi:
Forse è la vecchia signora che s’imbelletta per compiacere il giovane amante, come nel saggio “L’umorismo” di Luigi Pirandello, o è solo una bella donna segnata dalle rughe, dal fascino delle rughe? E, poi, viene consolata con qualche rapido complimento oppure appare davvero attraente?
E, comunque, a che varrebbe cercarla se la decisione di lasciarla è già stata presa e se, in ogni caso, non se vorrebbe conservare memoria?
E siccome è facile incontrarsi anche in una grande città
e tu sai che io potrei purtroppo, anzi spero, non esser più solo
cerca di evitare tutti i posti che frequento e che conosci anche tu
nasce l'esigenza di sfuggirsi per non ferirsi di più.
Tout court: “Non vorrei incontrarti semmai fossi in altra compagnia”.
Oppure “incontrarsi” significherebbe “ferirsi” ancora?
Così fosse, il senso della canzone renderebbe implicito un doloroso “lasciarsi necessario”. Ma necessario perché? Quale sarebbe il vero motivo del lasciarsi?
No, che non vorrei.
Io sto bene in questo posto.
No, che non vorrei.
Questa sera è ancora presto.
[…]
Loro senza me, mi hai detto,
è un problema di coscienza.
Poniamo l’Antitesi, allora:
Lasciarsi è un “problema di coscienza”? Vale a dire: sarebbe difficile non farlo senza ferire qualcun altro, quei “loro” che rimarrebbero “senza” lei? Posto si tratti di un Amore Impossibile tra un uomo “libero” ed una donna che non lo è, allora non sarebbe né oggettivamente fattibile né “morale” continuare per non far male a “loro” (figli di lei, ad esempio): interrogativo che immagino tanti si siano posti in situazioni simili…ed allora è lei deve interrompere.
Le interpretazioni sono state essenzialmente due da parte della Critica, ufficiale e non ufficiale: la prima lettura risolve il tutto nella nota velata ironia di Mogol, per cui “lui non la vuole più tra i piedi perché ha un’altra”, la seconda propende per l’impossibilità di vivere il rapporto, una triste urgenza sottolineata da un arrangiamento morbido e gradevole, delineato da un accordo in Fa Minore che piega lieve verso una sequenza cromatica discendente per poi tornare un’ottava più in basso sull’accordo iniziale.
Sinceramente penso all’Avventura in questo ultimo senso…
[Lucio, molto diversa da:
Non sarà
Un'avventura
Non può essere soltanto una primavera
Questo amore
Non è una stella
Che al mattino se ne va.
(Cit. Un’Avventura, Ricordi Records 1969)
Lucio: tempi cambiati? Sì, certamente sì.]
In tal senso l’assolo finale del sax alto di Derek Grossmith rappresenterebbe la voce di chi viene lasciato, il quale metterebbe in pratica un “esorcismo razionale” dettato da una mesta consapevolezza circa la scelta obbligata dell’altra.
La sofferenza è in chi lascia e in chi viene lasciato: questo il punto, che a mio parere è enfatizzato dalla leggerezza della Coda del pentagramma, dai colori sfumati della copertina e dalla postura dei soggetti rappresentati (non ostativa e oppositiva, ma colloquiale e affettuosa, di un’intima quotidianità proveniente da un intenso passato vissuto assieme).
Comunque di filosofie di vita (come di trattati di versificazione) credo Mogol ne sapesse abbastanza, conoscendo benissimo il Giusto delle parole da orchestrare per Hit di successo. E Battisti? Da quanto mi risulta il testo gli piacque molto, un Contenuto ben adatto agli arrangiamenti “nuovi” che cercava in quegli anni di mantenere il proprio aplomb quasi (ma proprio “quasi”) cantautoriale decorandolo con duttili inserimenti strumentali solistici e andamenti più funky, elettrici, adeguati al progresso stilistico e tecnologico del Pop internazionale; già, perché egli avrebbe voluto denazionalizzare il suo “Canto libero” e le sue “Emozioni”, ma ci riuscì solo in parte.
In effetti nella canzone resta molto di “italiano” perché Battisti era (canto melodico e scelte testuali in primis) musicalmente “molto italiano”, banali pose beat e abiti hippy a parte; e di “disobbedienze amorose” o posture maudit non ne trovo, anche cercandone con attenzione riferimenti nella sua enigmatica biografia di cui non voglio dire troppo nel rispetto della clausura dei suoi ultimi anni, distaccato dai mass media, invischiato nell’incontro con il paroliere romano Pasquale Panella (denso di concetti approssimativi e di doppi sensi un po’ noiosi e pretenziosi); quel Battisti che c’intriga poco, meno “ricciolone” e meno a posto con la propria glicemia canora, che cantò in modo molto avventato il mito del “Don Giovanni” del 1986, il techno rap di “Cosa succederà alla ragazza” (1992) ed i frettolosi riferimenti al Padre dell’Idealismo “Hegel” (1994), confusa figurazione del Divenire di un fantasma mai apparso sino al linfoma maligno che lo spense a Milano il 9 settembre 1998 (20 persone ammesse al suo funerale in forma strettamente privata a Molteno, non lontano dalla “Villa Rosa” frequentata da Benito Mussolini per feste e ricevimenti…”Rosa”, guarda un po’, un colore che torna spesso nelle sue canzoni…il Duce, un imbuto-simbolo detratto al pop-beat anni 70 quando ricordiamo che Lucio fu a sua insaputa velleitariamente ingaggiato come simbolo di un’Ultradestra intrisa di somaraggine, in opposizione alla fine sensibilità ideologica di Francesco Guccini e Fabrizio De André, liberi poeti anarcoidi pur assunti con occhi bendati quali vessilli della Sinistra). Mah, tempi distratti, tempi alla ricerca di definizioni ad ogni costo, tempi vivi ma frettolosi, nei quali in molti pensavano che il problema del mondo fosse unicamente l’Antinomia fra le due Corporazioni maggiori (in Italia, il “Das Kapital” di Karl Marx contro Julius Evola, i discorsi del Duce o la pericolosa ludopatia retorica di Giorgio Almirante).
Prendila così è uno spartito abbastanza semplice per suonare scale e posizioni per chitarra, dove il ritmo ballabile vira nella Pop Dance e nel bel Solo del Sax alla fine, attenuato da versi minimalisti che qualche fumosa realtà pur rivelano. Più Musica che Parole? L’arrangiamento lascia poche virgole all’alternarsi di pentasillabi e ottonari, se non nell’essenziale dire emotivo dell’insistito:
Prendila così / Non possiamo farne un dramma
Un’amarezza malcelata che, considerate tesi e antitesi, in realtà sembra narrare soprattutto di Amore e di Passione, ma non nei toni che tutti si sarebbero aspettati dalla “musica leggera”, leggerissima, del modernismo Non Sense del Lucio di Poggio Bustone, attratto dal pop-rock, dal Rhythm and Blues e dal Soul. Insomma un testo atipico per gli standard del Nostro.
A proposito: durante un viaggio a Londra con Mogol (che per l'occasione si incontrò con Bob Dylan), Battisti venne avvicinato dai produttori dei Beatles che erano pronti a investire milioni di dollari per lanciarlo nel mercato americano, ma egli rinunciò perché gli pareva eccessivo che i produttori trattenessero per sé il 25 per cento… O tempora, o mores (oggi sarebbe andata molto diversamente, mance comprese).
Curiosità: questa è la canzone in assoluto più lunga di Battisti perché nella sua versione originale dura quasi 8 minuti, apertura di “Una donna per amico” (e ci risiamo con questa “donna” difficile ad esser definita pienamente, sia nel titolo che nel secondo brano “Donna selvaggia donna” e nel terzo, “Aver paura d’innamorarsi troppo”: Edipo, Filofobia, pseudosentimento patologico, paura di lasciarsi andare?).
Il vinile pubblicato nel 1978 dall’etichetta Numero Uno, è considerato da “Rolling Stones” uno dei migliori dischi italiani. 900.000 copie vendute grazie anche alla produzione di Geoffrey Martin Westley (pianista, compositore e direttore d’orchestra, deus ex machina per successi di Claudio Baglioni, Renato Zero, Ron e Alex Britti) ed ai determinanti contributi della notevole formazione anglofona: tra gli altri, Derek Grossmith al sax contralto, Frank Ricotti alle tastiere, Paul Westwood al basso, Pip Williams e Laurence Juber alla chitarra, Gerry Conway alla batteria.
Contraddizioni e coesioni, corrispondenze e logicità a parte, Prendila così è un Obbligo di gran classe italica, alcunché se ne dica circa un periodare non indimenticabile su uno spartito indovinato, piacevole e consistente; un Battisti al meglio dell’ugola, curvilinea e flessuosa, ondulata e duttile in una traduzione esecutiva tra le migliori espresse dalle forme nuove della nostra Musica Popolare tra anni 70 e 80.
Egozero