il verbo e il suono su un dì d'infinito-per giuseppe cappello

 

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ll Verbo e il Suono su un Dì d'Infinito 

 

Per festeggiare i primi 50 anni di Giuseppe Cappello, la scrittura di Stefano Cazzato e la musica di Alessandro Conti che esprimono, nel dono della parola e del suono, i cromatismi di una vita activa 

Chi conosce bene Giuseppe sa che lui tiene tanto al privato – i suoi cari, gli affetti, le amicizie – quanto al pubblico – la scuola, la storia, la comunità, la polis come ama spesso ripetere nei suoi articoli; la polis non è per lui una parola, un’entità astratta, ma un modo di stare al mondo, l’oikos dei greci, la casa comune, il destino comune. 

Basta leggere, fra le tante, la lettera pubblicata sul “Fatto quotidiano” per il 25 aprile, per capire l’autenticità e l’intensità di questa sua passione civile. 

Dico questo perché non parlerò, in ordine alla sua poesia (che può essere letta nell'ampia raccolta articolata in tre libri Dì d'infinito) della sua metrica, del suo verso, del suo stile elegante, ricercato, classico (lascio ad altri, più esperti di me, questo compito) ma di quello che è, a mio parere, il motivo dominante della sua produzione letteraria: e cioè la ricerca  di un ancoraggio tra la dimensione privata e quella pubblica, tra le piccole agorà e la grande agorà, come se dalla felicità della seconda dipendesse quella della prima. Tra le righe delle sue poesie io sento vibrare questa domanda che rivolge a sé e a tutti noi: come faccio ad essere felice io se non lo sono anche gli altri? Come faccio a essere felice se non sono anche giusto? 

Ebbene questa poetica, in cui pubblico e privato convergono, come nella considerazione di un Giano bifronte, che guarda da una parte senza perdere di vista l’altra, la definirei poetica dell’attenzione, della responsabilità, della cura (proprio nel senso heideggeriano di “aver a cuore”, “farsi carico di”).

Ed è una poetica che si manifesta sia sotto forma di denuncia della vita offesa, la vita abbassata, umiliata, che rischia di non essere più vita, sia sotto forma di amore e di stupore per la vita redenta dalle sue offese, dai suoi limiti, disalienata, la vita che ritorna ad essere vita.  

“Vita nova”, come scrive nella silloge che segue a “Dì d'infinito” ed è dedicata alla nascita di Beatrice, ma – abbiamo ragione di credere – a ogni nascita, avvento, scatto, impulso dell’essere a vivere, andare avanti, rinnovarsi, vincere la morte, la resistenza, l’inerzia, la passività, a liberarsi dalle strettoie, dalle opacità. 

Qual è allora il discrimine tra l’una e l’altra? Perché l’una si converta nell’altra? Quali sono le condizioni del riscatto? Bellezza, intelligenza, carità, dice un verso (e cioè sensibilità, pietà, condivisione, cognizione del dolore altrui, speranza per il domani, amore per l’arte, per la natura, per la propria donna, la propria figlia). Ecco il discrimine. 

Ma se vogliamo cercare questo discrimine in qualcosa di ancora più filosofico (del resto non si può negare che l’elemento filosofico entri in quello poetico) allora della triade bellezza, intelligenza, carità dobbiamo soffermarci soprattutto sul termine intelligenza. 

Penso infatti che si possa applicare alla poesia di Giuseppe il motto socratico “una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta”, a condizione che non  prendiamo questo motto in modo snob, elitario, aristocratico, accademico, come se introducesse un confine tra intellettuali e non, tra professionisti della parola e non.

Non si tratta evidentemente di questo. Una vita senza ricerca è una vita irriflessa, senza pensiero, senza domande, ideali, valori, una vita che si lascia vivere, che si consegna allo scetticismo, al nichilismo, alla demagogia, che butta via i talenti della ragione o che li subordina all’animalità. 

Quando l’uomo smette di pensare non è più uomo, diceva H.Arendt in “Vita attiva” riconoscendo - proprio come Socrate - nell’attività del pensiero lo specifico della condizione umana. 

Una vita senza pensiero è una vita senza concetto.  Del resto, hegelianamente, il concetto per Giuseppe non è un’astrazione, ma il farsi, il costruirsi, faticoso, concreto, del senso attraverso il discorso che è parola, ascolto, dialogo, contraddizione, dibattito, interlocuzione  aspra, se occorre. Non c’è niente di più concreto del concetto: ciò che concresce, cresce insieme, nella dialettica, nel confronto. 

“Caro direttore” è in questo senso un esempio della tenacia con cui si è ritagliato un posto nel dibattito nazionale attraverso una via del tutto inconsueta, postmoderna, sagace, che è quella delle lettera al giornale. Altro che lettere, i suoi sono veri e propri editoriali! 

Tornando alla poesia, devo dire che sia a una prima lettura che a una seconda (quella fatta in occasione di questo compleanno) mi ha sorpreso quante volte e in quanti contesti appaia la parola “concetto” nelle composizioni di Giuseppe. 

Se volessimo fare un’analisi linguistica (alla Austin o alla Wittgenstein) potremmo esaminare una per una le volte in cui il concetto è di casa nelle sue poesie. Quante volte occorre e con che senso, con che sfumature, che significati, che varietà semantica.

Ecco “l’eco luminosa dei discorsi”;  “la parola che ci divide ma che unisce”; “il parlare per la via” che ricorda le passeggiate filosofiche di Socrate e dei suoi interlocutori attraverso i luoghi di Atene (a cui ha dedicato il suo libro “Viaggio in Grecia”); “il concetto che rapisce i cuori”; “il concetto che si distende”; “la mano del concetto”; “il capitano del concetto”; “i concetti condivisi”; “la geometria organica del concetto”; la necessità di “scendere nel concetto”; “il rito dell’astrazione” amaro, faticoso, sciropposo ma necessario; “la Physis con il Logos”, non contro il Logos; “il monastero del concetto”. E non a che fare col concetto anche la strada “fra i cipressi che da Mileto a Tubinga”? 

Per non parlare poi di quando Giuseppe introduce l’espressione di “ostetrico”, che gli si addice perfettamente, perché chi ha la fortuna di leggere i suoi scritti o di essergli amico e interloquire con lui, deve riconoscere che egli fa partorire in noi pensieri, riflessioni, domande, curiosità. Perché  la funzione del concetto non è quella di giudicare ma di capire, di invitare al dialogo. Esso stesso è frutto di un conflitto che si ricompone, di una tensione provvidenziale tra il senso e il non senso, tra la vita nuova e la disperazione. Così l’anima bella ritrova se stessa. 

Stefano Cazzato  

Nell’ambito dell’incontro Alessandro Conti ha eseguito l’Etude 16 di Philip Glass: https://www.youtube.com/watch?v=pfULypNxp2s 

Musica su cui, nel controluce fra il verbo e il suono, Giuseppe Cappello ha letto, in un dì d'infinito lungo cui abbiamo festeggiato i suoi primi 50 anni, la sua poesia, dedicata a Sting, “I cromatismi del Tyne”. 

I cromatismi del Tyne 

Il ferro dei binari inchioda il grigio uggioso del cielo sulla città del Tyne

Il sibilio arrugginito degli scambi

Stridono i freni sugli ultimi metri della corsa

Scendono con gli strusci neri del carbone sulle guance

La cipria della fatica sul volto dei minatori

Lentamente avvolge le strade la scura cosmesi della notte

Nel locale, fra il fumo, le birre e lo slang,

una voce e il ferro delle quattro corde

Inchiodano la notte alle leggi del cielo

Armonie che tessono le danze dei pianeti nel firmamento

Nelle carni delle nebbie e del carbone, del ferro e della pioggia,

scorre fra le anime il bagliore del blues.

 

NDR: Il quadro è Il Geonauta, Olio su tela di Biagio Cappello. 

Biagio Cappello è nato a Comiso nel 1926. Notato giovane da Renato Guttuso, nel cui circolo fu cooptato, ha esposto i suoi quadri nella vivace scena romana delle gallerie animate nel Secondo Dopoguerra da Antonello Trombadori, fino ad esporre, nel 1956, alla Biennale di Venezia. Amico dai tempi della gioventù con lo scrittore Gesualdo Bufalino, il critico letterario Salvatore Guglielmino e il pittore Piero Guccione, negli anni 50 si trasferì, come alcuni suoi conterranei , a Roma, dove affiancò l’attività artistica all’insegnamento del Disegno e della Storia dell’Arte nella scuola pubblica. Incessante, anche quando dal piano pubblico ripiegò su quello privato, la sua attività di disegno e di pittura. Espressa in particolare con la tecnica olio su tela ma anche con sperimentazioni  quali, ad esempio, la tecnica dell’acquaforte.

NDR 2: la direzione di Romainjazz, nella mia persona, esprime affetto e gratitudine per l'evento avvenuto il 4 maggio 2019, en hommage per l'amico, collega ,collaboratore e , soprattutto, condivisore di Idee e Sentimenti: Giuseppe Cappello (http://www.giuseppecappello.it/ ). Grazie Fratello! Fabrizio Ciccarelli

 

 

 

 

 

 

 

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