Francesco De Gregori: Atlantide. Le Nubi dell’Amore ed il Coraggio del Perdono.
Dove vanno a finire le scelte che non prendiamo, le strade che non percorriamo, le persone che non abbiamo il coraggio di amare?
Francesco De Gregori delinea i contorni di un viaggio alla scoperta del cuore di un uomo, dei suoi rimpianti e della risposta ad una domanda tutt'altro che banale: è più difficile perdonare o perdonarsi?
"Lui adesso vive ad Atlantide
con un cappello pieno di ricordi
ha la faccia di uno che ha capito
e anche un principio di tristezza in fondo all'anima
nasconde sotto il letto barattoli di birra disperata
e a volte ritiene di essere un eroe"
Il protagonista di questo brano è descritto in modo volutamente accennato, è un generico "lui", i contorni della cui ombra potrebbero ricordare quelli di un nostro vicino di casa, di un amico o – perchè no - i nostri.
La località in cui abita la vedremo più avanti ma per ora conta poco perchè - ovunque il suo corpo possa fisicamente essere - la sua anima naviga alla deriva in un luogo remoto della coscienza. Uno spazio uguale e diverso per ciascuno di noi, il lato oscuro del libero arbitrio dove ogni scelta corrisponde inetavibilmente ad una rinuncia e, quindi, ad un rimpianto.
Il suo cappello ci viene descritto come colmo di ricordi, sono pensieri dolci? Probabile, ma la memoria di un passato radioso, in un presente privo di quella gioia, non fa che accentuare il senso del perduto. "Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria" avrebbe detto Dante Alighieri, anticipando di seicento anni importanti intuizioni del secolo breve.
Quanto costa la consapevolezza? Che prezzo bisogna pagare per avere "la faccia di uno che ha capito"? La risposta è nel climax ascendente che segue: il principio di tristezza, in apparenza così flebile, trova la propria eco nelle lattine di birra che - nascoste al buio, come mostri in agguato sotto al letto di un bambino cattivo - lo attendono assieme a quella disperazione che di giorno riesce a tenere al guinzaglio di una proiezione salvifica.
Una guerra interna, a tratti eroica, sfibrante ed epica quanto personalissima e segreta. Un rimosso che spinge per salire a galla, stralci di consapevolezza declinati in suggestioni mobili e fugaci, fantasmi la cui presenza è più saggio limitarsi ad intuire, piuttosto che guardare in faccia.
"Lui adesso vive in California
da sette anni sotto una veranda ad aspettare le nuvole
è diventato un grosso suonatore di chitarre
e stravede per una donna chiamata Lisa
quando le dice tu sei quella con cui vivere
gli si forma una ruga sulla guancia sinistra"
Solo ora che conosciamo il suo tormento possiamo comprendere come il posto in cui vive – luogo da sogno per antonomasia, la California degli Eagles e dei Mamas & Papas, quella delle coste, delle spiagge, del sole e delle belle donne – sia l'inutile cartonato del suo tormentato mondo interno. Visto dall'esterno è un musicista famoso e realizzato, con una fidanzata di nome Lisa – l'immaginiamo bellissima e sorridente, come la modella di uno spot di chewingum – per cui "stravede", ma che non ama.
In questo luogo, apparentemente così paradisiaco, passa il tempo "sotto una veranda ad aspettare le Nuvole" come il protagonista dell'omonima commedia di Aristofane. Nuovole di pensieri e di ricordi, Nuvole divine che si presentano puntuali ma pronunciando parole troppo oscure (o troppo dolorose?) per essere comprese e, quindi, per dargli il conforto di cui ha bisogno.
Resta la musica, la California, quella relazione esteriormente fantastica ma destinata ad essere il contraltare reale di un ideale ipotetico che, come ogni pensiero idealizzato, è perfetto ed inarrivabile. Ed è questa coscienza insinuante che, sottotraccia, trasforma ogni sua frase romantica per Lisa in un sorriso amaro. Ruga d'un amore perduto, sigillo del tempo trascorso ed emblema di una scelta sbagliata ed irrimediabile.
"Lui adesso vive nel terzo raggio
dove ha imparato a non fare più domande del tipo
conoscete per caso una ragazza di Roma
la cui faccia ricorda il crollo di una diga?
io la conobbi un giorno ed imparai il suo nome
ma mi portò lontano il vizio dell'amore"
Cos'è questo "terzo raggio"? Quello delle carceri d'oro in cui si è rinchiuso, come nel caso di San Vittore, dove il “terzo braccio” è quello assegnato ai detenuti con problemi di droga e dipendenza? O l'allusione va al terzo dei sette raggi teosofici, quello dell'intelligenza, dei pensatori che, con la mente e non con il cuore, provano a fuggire da un rimorso che scuote l'anima?
Rimorso finalmente svelato nella riga successiva: l'amore perduto è una ragazza di Roma, donna che gli è bastato guardare negli occhi una volta per essere travolto dal sentimento con l'intensità irrefrenabile d'una diga che crolla sradicata dalla corrente.
Una consapevolezza da nascondere tra i tanti ricordi del cappello o al buio sotto al letto, la consapevolezza spinta a forza negli abissi della propria anima o lontano, tra le Nuvole.
Quella consapevolezza che può far sragionare, al punto da fermare sconosciuti per la strada e chiedere, come dei pazzi, dov'è finita la donna della propria vita.
La spietata presa di coscienza che in un momento specifico, ormai fermo tra le ombre pietrificate del passato, sarebbe bastato prendere un'altra strada, scegliere lei e non perdersi dietro mille avventure legate ad un "vizio d'amore" frivolo e fugace.
"E così pensava l'uomo di passaggio
mentre volava alto sul cielo di Napoli
rubatele pure i soldi rubatele anche i ricordi
ma lasciatele sempre la sua dolce curiosità
ditele che l'ho perduta quando l'ho capita
ditele che la perdono per averla tradita".
Da una veranda della California ci ritroviamo sospesi nel cielo italiano, a bordo di un aereo che sorvola Napoli. Forse sono passati anni, le Nuvole non sono scese ma lui adesso le sta attraversando e questo gli dà di certo una nuova prospettiva. Il mondo adesso appare così lontano, piccolo, che anche i peccati commessi sembrano più veniali, compreso il suo tradimento, parola pronunciata solo alla fine del brano, confessione fatta in extremis e chiave interpretativa della fine della loro relazione.
Quanto una persona tradita è responsabile dell'infedeltà? Può un carattere, un atteggiamento, una spigolosità avere delle quote di colpa nello spingere il partner tra le braccia altui?
Quest'idea è l'ultima autoassoluzione del nostro uomo - garza d'una ferita che non si rimarginerà, ma che almeno così può far smettere di sanguinare - o la consapevole riflessione legata a quanto, all'interno di una coppia, le responsabilità siano sempre di entrambi?
C'è stata della rabbia, del risentimento ma ora è rimasto solo il ricordo di quel carattere dolcemente curioso e la speranza sincera che possa conservarlo per sempre. Un perdono addolcito dal tempo che sa di commiato, un'assoluzione - ed è l'amara riga non scritta – che non può concedere anche a se stesso.
Meglio dunque che questo pensiero, foriero di un dolore annichilente e distruttivo, resti soltanto intuìto, lontano ed offuscato, come una città vista dal finestrino di un'aereoplano.
Una città forse esistita ma ormai sprofondata e perduta. Come un amore, come Atlantide.
Stefano Borioni
NDR: “Atlantide” è B side del singolo pubblicato a marzo del 1976 dalla RCA Italiana su 45 giri. Le due canzoni sono estratte dall'album “Bufalo Bill”.
La copertina del 45 giri ripropone il medesimo tema dell'LP, un ritratto di Gil Elvgren dal titolo “Aiming to Please”, tratto da una rivista statunitense del 1948.
Testi, musiche e arrangiamenti sono di De Gregori, che cura anche la produzione.
Musicisti:
Mario Scotti - basso
Roberto "Bob Rose" Rosati - chitarra
Carlo Felice Marcovecchio - batteria
Antonio "Toto" Torquati - organo Hammond