Mahavishnu Orchestra, Birds Of Fire, Columbia Records 1973, vinile 2019
Quando parlai con un noto critico musicale molto influente nella metà degli anni settanta mi senti rispondere: “meglio che tu spenga lo stereo”. Io, che da poco mi avventuravo tra le sponde del “non solo rock”, non mi sentii di dargli retta completamente e, pur collezionando serate/nottate dedicate all’ascolto dei classici del blues e del jazz, sentii aprire una porta che, per quanto sguincia in quanto a cifra stilistica nei confronti di Miles Davis, Duke Ellington, John Coltrane e Charlie Parker, annullava le sarcastiche categorie di nomignoli affibbiati a giovani musicisti che stavano scoprendo nuove connessioni tra le Blue Notes, la Fusion, il nascente Jazz Rock ed il Progressive.
“Nulla si crea e nulla di distrugge, ma tutto si trasforma”, la legge della conservazione della massa, legge fisica della meccanica classica che prende origine dal postulato fondamentale di Antoine Lavoisier, non andava ancora per la maggiore sebbene in molti, scienziati o filosofi, s’erano accorti della sua assoluta veridicità, e di quanto la “legge” fosse applicabile alle trasformazioni d’ogni arte, Musica in primis.
Birds of Fire mi sembrava volesse comprovare questa potenza dell’innovazione sulla base di quanto prodotto in precedenza, e innanzitutto Miles Davis con “In a silent way” e “Bitches Brew”, dischi incisi solo qualche anno prima che avevano incontrato un certo ostracismo da parte dei puristi e di cui pochissimo si diceva nei programmi radiofonici (figuriamoci in quelli televisivi), unico contatto per milioni di musicofili, di ascoltatori sempre più giovani con pochi soldi in tasca per poter esser sempre aggiornati sulle uscite discografiche. Era una sorta di perbenismo (non è cambiato molto a tutt’oggi) col quale si poneva il veto alle disobbedienze comportamentali (morali, politiche) per timore dell’ Immaginazione al potere di Herbert Marcuse che aveva infiammato l’anno 1968 contro la società totalitaria in nome della liberazione dell’Eros per la creazione di un mondo più aperto, fatto di uomini liberi e solidali tra loro. Ma il dado era tratto, nulla avrebbe potuto ostacolare il crescendo della giusta pretesa per una società più autentica, dominata dalla fantasia e dall'arte come dimensione fondamentale di ogni forma di convivenza.
In questo clima, pur meno incandescente nell’ambito del jazz rispetto a quello più articolato e “scapigliato” del rock , nacque Birds of Fire, album in cui i parametri cromatici vennero portati da una dinamicità vorticosa ed abbagliante per mano di musicisti di enorme talento che applicarono le loro molteplici virtù strumentali al servizio del Nuovo Contemporaneo, ad atmosfere oniriche e lisergiche (la Beat Generation era da tempo giunta anche nella musica alternativa) nelle quali le scariche elettriche ed il misticismo parvero possedere la medesima chiave ontologica, anche nel caso di questo album dedicata alle nuove divinità scoperte nella millenaria cultura indiana posta in contrapposizione con il senso religioso occidentale, avvertito come “morale del gregge” (Friedrich Nietzsche) e “perbenismo nemico dell’Arte” (Erica Jong). Il maestro del sitar Ravi Shankar aveva raggiunto il cuore di George Harrison (My Sweet Lord), l’estro californiano dei Byrds si basò quasi completamente su sonorità indiane negli album “Fifth Dimension” del 1966 e “The Notorious Byrd Brothers” del 1968, altri esempi di raga rock erano ravvisabili in alcuni brani dei Beatles quali Norwegian Wood, Love You To, Tomorrow Never Knows, Within You Without You, in una canzone di grande successo degli Yardbirds, Heart Full of Soul, che fu la prima in Occidente in cui comparve un sitar. Influenze provenienti dalla musica classica indiana erano inoltre rintracciabili in alcune composizioni dei Rolling Stones (Paint It Black), dei Velvet Underground (Venus in Furs) e dei Doors (The End). Senza contare, nel jazz, John Coltrane, Yusef Lateef, John Mayer, Joe Harriott e tanti altri creativi. Il Fenomeno interculturale meriterebbe di esser studiato in maniera più approfondita, ma qui basti ricordare il genere Indo Jazz con i suoi protagonisti (Bud Shank, Trilok Gurtu, Zakir Hussain, Fareed Haque, ma in primis John McLaughlin e naturalmente Trane).
Torniamo all’album.
Miles Davis, dopo “Bitches Brew”, incitò McLaughlin: “Hey John è ora che cominci a pensare al tuo gruppo”. Così fu.
Nel 1971 John McLaughlin aveva fondato la Mahavishnu Orchestra insieme a Billy Cobham, l’unico del gruppo con cui aveva condiviso precedenti collaborazioni e con il quale si sentiva perfettamente in sintonia: Mahavishnu, grande anima per un’evoluzione che, grazie anche a musicisti come Chick Corea e Joe Zawinul, lancerà jazz e rock in un’unica traiettoria per concepire una nuova tendenza che avrà molto successo dagli anni ’70 sino ad oggi: Weather Report, Pat Metheny, Jaco Pastorius, Stanley Clarke, Marcus Miller, Mike Stern, Bill Frisell, Michael Brecker, Bob Berg, John Scofield, Spyro Gyra e Steps Ahead.
Con McLaughlin e Cobham, Jan Hammer alle tastiere, neo-laureato al Berklee College of Music, Jerry Goodman, violinista di estrazione classica e Rick Laird, al basso. Con questa formazione venne pubblicato “The Inner Mounting Flame”: successo inatteso, 11° posto nelle classifiche jazz (segno dei tempi: non si trattava esattamente di jazz tout court) e 89° posto in quelle rock, 15° posto nella classica Usa Billboard, risultato mai raggiunto da un album considerato di jazz.
Medesima formazione per Birds of Fire: l’album fu inciso nell’agosto del 1972 negli studi Cbs di New York e Trident di Londra. Gli arrangiamenti furono ulteriormente perfezionati; i virtuosismi messi in mostra dai musicisti per l’epoca erano rivoluzionari e sbalorditivi per gli ascoltatori, anche se non proprio di virtuosismi sarebbe corretto parlare, semmai di sbilanci dell’anima, di evoluzioni naturali che non intendevano essere esercizi di bravura in lunghissimi assoli o bordate di forze ipnocentriche. In molte composizioni si rincorrevano le scale velocissime di McLaughlin in complicità con le risposte altrettanto pirotecniche di Goodman al violino e Hammer alle tastiere; sezione ritmica straordinaria con il basso possente di Laird e il drumming imperioso e muscolare di Cobham.
In questo disco McLaughlin usò una Gibson SG 6/12 Double-Neck, una chitarra dal doppio manico (già usata da Jimmy Page, ad esempio, nella celeberrima Starway to Even), scelta per cercare la massima enfasi in arpeggi ampi ed elaborati e trovare nuove sonorità in un magnete di modernissima costruzione, particolarmente adatto alle improvvisazioni.
Lo stile di Mahavishnu John (“Meraviglioso Vishnu” volle chiamarsi dopo l’incontro con il mistico induista Sri Chinmoy, la cui poesia “Revelation” è nella copertina posteriore) si era affinato potenziando l’avambraccio tanto da permettergli di eseguire a gran velocità, per dominio fisico e intellettivo, moltissime note singole e scale rapidissime che celano esotismi quasi impercettibili all’orecchio in un plateau progressive di armonizzazioni complesse di struttura essenzialmente jazzistica, world fusion si sarebbe detto un decennio dopo.
Andiamo brevemente nel dettaglio:
Birds of Fire apre il disco con visionari colpi di gong, aprendo il dialogo a tutti gli strumenti; riff magnetici per violino e chitarra che spesso suonano all’unisono e si sovrappongono in ampie improvvisazioni tra free jazz e progressive rock di atmosfera lisergica.
Miles Beyond evoca il disco “Miles Ahead” (Columbia 1957 con la Gil Evans Orchestra) nel gioco con gli avverbi “ahead” (avanti) e “beyond” (al di là), il cui senso appare del tutto chiaro nell’omaggio al Maestro. Anima Blues con continui drum fill di Cobham tra le tirate chitarristiche orientaleggianti di McLaughlin, l’incedere corposo del basso di Rick Laird ed il tessuto organistico di Jan Hammer per un andamento rock travolgente e metafisico.
Celestial Terrestrial Commuters è un viaggio intercontinentale punteggiato da dissonanze acide al limite del Free nel quale ognuno insegue la propria linea melodica senza mai intralciare il senso armonico.
Sapphire Bullets of Pure Love: un micro24 secondi di stravolgente passione incendiaria.
Thousand Island Park: tutto l’amore di McLaughlin per il flamenco con eccezionale nitore esecutivo, con carezzevole diteggiatura in scale e scale che esaltano il silenzio intimistico di una compostezza tecnico-espressiva dalle solide radici classiche. Il flamenco sarà un genere molto frequentato dal chitarrista per ragione dell’espressività delle cromie tra musica araba ed elaborazioni occidentali con forti contaminazioni gitane e andaluse (ricordiamo tanto “Flamenco Sketches” a firma di Davis e Bill Evans per il capolavoro “Kind of Blue” del 1959 e “Sketches of Spain” di Miles nel 1960, quanto il Nuevo Flamenco di Paco De Lucia con cui McLaughlin inciderà nel 1980 “Friday Night in San Francisco”, spettacolare jam session in trio di chitarre acustiche con Al Di Meola, Philips 1981, e terminiamo qui le citazioni solo per brevità).
Hope: 2 minuti di interpolazione tra le morbide intelaiature cromatiche del violino e l’elegante drumming di Cobham che si muove fra i magneti impressionistici di McLaughlin e il registro sinuoso del basso di Laird.
One Word: siamo al centro emozionale dell’album, rapida, rapidissima interconnessione tra il ritmo continuo della batteria e la vertiginosa potenza angolare del basso, assoli plurimi di chitarra, di tastiere e violino in futuristiche visioni indo jazz. Lezione magistrale il solo di Cobham, Summa per qualunque batterista.
Sanctuary: dipinto crepuscolare e cantabile nella sei corde di McLaughlin, visionario quanto psichedelico.
Open Country Joy: un brano rispondente alle richieste americane del tempo: non dimentichiamo l’importanza della West Coast da un punto di vista politico e antropologico (Neil Young, David Crosby, Stephen Stills e Graham Nash; Joni Mitchell, James Taylor, Jackson Browne e Carly Simon; Janis Joplin, Jefferson Airplane, Grateful Dead, Byrds, Buffalo Springfield, Quicksilver Messenger Service, Allman Brothers, America, Eagles, Doobie Brothers ma anche qualche nuances del pop-rock-jazz inglese dei Traffic… San Francisco all'inizio come musica di protesta sulla scia degli eventi legati alla Guerra del Vietnam, e anche qui terminiamo le citazioni per brevità). Un country rivisitato in cambi di tempo che dicono di una certa asprezza concettuale alla base del pentagramma; una intensa voce di violino che commenta una cercata pacatezza espressa dall’arpeggio chitarristico in apertura e in chiusura.
Resolution: ovvero una sintesi finale delle sonorità più asimmetriche e più emotive improvvisate in un Crescendo surreale e visionario difficile da rendere in categoria musicale, un “senza fiato” scattante e comunicativo nel quale i musicisti si lasciano andare senza virtuosismi e tecnicismi.
Pochi album progressivi come Birds Of Fire.
Altro che “spegnere lo stereo”.
Fabrizio Ciccarelli
Guitar – John McLaughlin (composition)
Keyboards, Synthesizer [Moog] – Jan Hammer
Percussion – Billy Cobham
Violin – Jerry Goodman
Bass- Rick Laird - basso
A1 Birds Of Fire 5:44
A2 Miles Beyond 4:41
A3 Celestial Terrestrial Commuters 2:55
A4 Sapphire Bullets Of Pure Love 0:21
A5 Thousand Island Park 3:21
A6 Hope 1:57
B1 One Word 9:56
B2 Sanctuary 5:06
B3 Open Country Joy 3:54
B4 Resolution 2:09
Qui l'intero album:
https://www.youtube.com/watch?v=AulNvAR0u5c&list=OLAK5uy_laTbnMSFq5h827gAHXWEZG-bdqC_5vmV0&index=1