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Charles Mingus, Genio pazzo e arrabbiato.

Nato a Nogales il 22 aprile del 1922, il genio “pazzo e arrabbiato” Charles Mingus (come amava definirsi) è unanimemente considerato, a circa quattro decenni dalla sua scomparsa, una fra le massime espressioni del contrabbasso jazz di tutti i tempi. In attività dagli inizi dei ’40 fino al 5 gennaio del 1979 (data in cui ci ha lasciato orfani della sua ineguagliabile arte),  ha donato al Jazz del ’900 una lectio magistralis su come si possa fare grande Musica.

Irascibile, imprevedibile, controcorrente, ossessionato dalla discriminazione razziale nei suoi confronti da parte di bianchi e neri per le sue origini meticce, Mingus ha sempre connotato la sua musica e il suo essere band leader di un roboante significato politico. Era solito dire: "Sì, prometto fedeltà agli Stati Uniti d'America ... prometto fedeltà per vedere che un giorno si renderanno conto delle loro promesse, e delle vittime che chiamano cittadini".

Pioniere nell’emancipazione del contrabbasso dal ruolo di mera scansione ritmica all’essere protagonista di un lessico finalizzato al contrappunto con le linee melodiche degli altri strumenti, il maestro statunitense ha ricoperto un ruolo di primo piano in ogni orchestra o formazione a cui ha preso parte o diretto in prima persona.

I canti gospel delle congregazioni religiose di Watt a Los Angeles, il blues ed il jazz hanno rappresentato per lui un’ inesauribile fonte d'ispirazione, al pari della musica euro-colta di Claude Debussy (1862-1918), Maurice Ravel (1875-1937) ed Arnold Schönberg (1874-1951). Irretito dalla personalità del grande “Duke”, ha sempre preferito un sound orchestrale ad un solismo fine a se stesso, meritando, come per Ellington, il soprannome di “Baron”.

Dopo le numerose e prestigiose partecipazioni nelle grandi orchestre degli anni d’oro del jazz, agli inizi dei ’50 Charles Mingus entra a far parte - ancor prima di entrare in contatto con i grandi boppers come Bud Powell, Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Miles Davis, Oscar Pettiford, Max Roach - di un trio dall’atmosfera Cool-Bop da camera, con Red Norvo (vibrafono, leader) e Tal Farlow (chitarra): Red Norvo Trio with Tal Farlow and Charles Mingus at the Savoy (SAVOY, 1951).

Il personale concetto di improvvisazione collettiva si fa largo nelle produzioni di matrice Hard-Bop e Free, Pithecanthropus erectus (ATLANTIC 1956), nelle reminiscenze messicane  di Tijuana Moods (RCA 1957) nonché nelle accezioni Gospel/Blues di Blues and Roots (ATLANTIC 1960). In quegli anni il suo groove è trascinante, originale, dissacrante, e lavora, fra gli altri, con alcuni maestri del trombone, quali Britt Woodman, Eddie Bert, Willie Dennis, Jimmy Knepper, Quentin Jackson, Jimmy Cleveland, con talentuosi sassofonisti del calibro di Jackie McLean, Benny Golson, Pepper Adams, Yusef Lateef, Roland Kirk, con virtuosi della tromba quali Richard Williams, Johnny Coles, Don Ellis, Clark Terry, Clarence Shaw, con pianisti quali Mal Waldron, Bill Evans, Horace Parlan, Toshiko Akioshi, Roland Hanna, Jaki Byard, e con il sontuoso batterista Dannie Richmond.

Quando esplode nel 1960 la rivoluzione di Ornette Coleman, dà vita ad un nuovo quartetto con Eric Dolphy (sassofono alto, flauto e clarinetto basso), Ted Curson (tromba) e l’immancabile Richmond (batteria), con i quali realizza Charles Mingus Presents Charles Mingus (CANDID 1963), fra i migliori dischi della produzione a proprio nome, in cui si può ascoltare, finalmente su disco, l’eccellente versione di Faubus Fables, brano scritto e dedicato anni addietro al segregazionista governatore di Little Rock (Arkansas) Orval E. Faubus.

Fatta eccezione per l’album Mingus Ah Um (COLUMBIA 1959) che rimane per me una pietra miliare del mio giovanile approccio al Jazz, con l'aggiunta di Booker Ervin (sassofono tenore al contempo churchy e acrobatico) e, in un brano, dell'ospite Bud Powell, il live ad Antibes (ATLANTIC 1960) è forse il miglior lavoro mai pubblicato - a pari merito con The Black Saint and the Sinner Lady, suite per balletto (IMPULSE 1963) che riassume le radici musicali di Mingus e gli elementi della sua creatività.

A causa della prematura scomparsa di Eric Dolphy nel 1964, Mingus attraversa un lungo periodo di prostrazione psicologica che si trascinerà fino agli inizi dei Settanta. Negli ultimi anni di vita e carriera  ritorna lentamente a calcare la scena in compagnia di George Adams, Don Pullen, Jack Walrath e l’ amico fraterno Dannie Richmond, per dare vita a nuove composizioni pubblicate negli album Changes One e Changes Two (ATLANTIC 1974).

A seguito della diagnosi del Morbo di Lou Gehrig nel 1977, nonostante gli sforzi e i tentativi con una nota guaritrice messicana, il grande musicista soccombe il 5 gennaio 1979, all'età di 56 anni.

Il suo testamento artistico è affidato alla voce di Joni Mitchell con cui era impegnato, in quei giorni, nella realizzazione di un comune progetto intorno ad un nucleo di composizioni (alcune tratte dal suo storico repertorio come Goodbye Pork Pie Hat) a cui la cantautrice canadese avrebbe aggiunto le parole. Il disco venne pubblicato a due anni dalla sua scomparsa col titolo, neanche a dirlo, Mingus (ASYLUM RECORDS 1979).

La sua forza ritmica si coglie nel suo essere al centro dell’orchestra, con un walkin’ bass portentoso, continuo, incalzante, in grado di spingere l’ensemble al di là della musica stessa. E’ proprio Mingus stesso che dichiara nelle pagine di Beneath the Underdog: “La mia musica, quando suonata, non ha mai avuto lo stesso suono che sentivo nella mia testa. Il tempo crea ora per il futuro e occorre utilizzare il passato solo per aiutare il futuro, non come un filo spinato di colpe e paure che inibiscono il tuo stesso essere. Come detto alla fine di una labor song che mi piaceva molto quando ero un bambino: quello che voglio dire è prendi tutto con calma, ma prendilo."

Il luminoso carisma, il suo essere anticonvenzionale, l’immedesimarsi del tutto con la sua musica, ne fanno un’assoluta icona del Jazz del ’900. Immergendosi nella sua autobiografia Beneath the Underdog (Peggio di un bastardo) si comprende appieno la natura combattiva, la tormentata esistenza, la genialità creativa di Charles Mingus, musicista, compositore, conduttore, ma soprattutto “uomo” in un Paese, gli Stati Uniti, poco incline ad accogliere ogni diversità.

“Io sono tre. Il primo, sempre nel mezzo, osserva tutto con fare tranquillo, impassibile, e aspetta di poterlo raccontare agli altri due. Il secondo è come un animale spaventato che attacca per paura di essere attaccato. Il terzo infine è una persona gentile, traboccante d’amore che lascia entrare gli altri nel sancta santorum del proprio essere e si fida di tutti e firma contratti senza leggerli e accetta di lavorare per pochi soldi e anche gratis, e quando si accorge di cosa gli hanno fatto gli viene voglia di uccidere e distruggere tutto quello che gli sta intorno, compreso se stesso per punirsi di essere stato così stupido. Ma non può farlo e allora torna a chiudersi in se stesso”. (Peggio di un bastardo, Baldini Castoldi Dalai, 2005, pag. 9).

Francesco Peluso

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