Pure Joy, Firedance, Abeat Records 2019
Joy Grifoni, contrabbassista e vocalist di interessante fantasia e proporzione stilistica, pubblica Firedance per l’Abeat Records, un album nel quale propone otto composizioni originali memori del jazz migliore che si ricordi, eseguite secondo arrangiamenti ben calibrati e moderni e con naturale forza interpretativa in agile interplay con ottimi musicisti che sanno descrivere a fondo l’Emozione, caratteristica essenziale delle sue Blue Notes.
Abbiamo occasione di parlarne con Joy, artista colta e piacevole.
D.Tenuto conto dell’Alter Ego che hai deciso di usare – sia per il canto del tuo contrabbasso che per la tua personale interpretazione vocale - quale senso vuoi dare al tuo Firedance, al tuo “canto di fuoco” così aperto alle dimensioni strutturali di un Hard Bop acceso, fluente e, in definitiva, autobiografico?
R.Proprio nell'ultimo mese, mi trovo alle prese con l'ideazione di alcuni dei brani del quarto album del progetto “Pure Joy” per Abeat Records, il quale si intitolerà “Metalepsis” e sarà dedicato alla trasposizione, allo sdoppiamento dei significati. Questo concetto definisce molto la mia attuale ricerca: più vado avanti nella mia indagine artistica e spirituale, più mi rendo conto della dualità della vita stessa. Il bello dell'arte, e della musica in particolare, sta proprio in questa plurisemanticità, in una evocatività che lasci al fruitore la libertà di fantasticare. Poter sperimentare di persona con due strumenti tanto diversi, mi dà la possibilità di esprimere al meglio questa dualità semantica, che si incarna in un contrappunto di gravi ed acuti, di maschile e femminile, per dare vita ad un'arte che intende essere compenetrativa, accogliente, multiforme. Il fuoco, argomento che ha ispirato questo nostro ultimo album “Firedance”, è forse uno degli elementi in natura più duali: può essere una forza distruttrice ed al tempo stesso creativa, può illuminare, cauterizzare, purificare...
D.Le tue composizioni originali dicono di un jazz fiammante che percorre le trame più viscerali e moderne, tanto da essere quasi assimilabili ad un repertorio storico di Avanguardia e attenta cura della tradizione…
R.Il jazz stesso, nella sua storia multietnica fatta di miriadi di contaminazioni, è una sorta di fenice, un uccello di fuoco immortale pronto a rinascere ogni volta dalle sue ceneri. Questa è la sua magia. Sia che si tratti di hard bop che di sperimentazione avanguardista... L'immenso potenziale espressivo che ci offre ancora oggi il jazz sta nel fatto che nulla, o quasi, è scritto mentre tutto è in fieri, cangiante, proprio come le fiamme di un fuoco durante un perenne rito d'iniziazione. Non è un caso che da sempre accanto ad un fuoco nascano le storie migliori. E' l'ancestralità che ci salva dal diventare delle macchine prive di emozioni.Mi auguro che la mia musica, che io stessa spero di non riuscire mai ad etichettare in un genere ben definito, possa sempre essere capace di evocare qualche storia, di insegnarmi nuovi significati.
D.Quale significato attribuisci al tuo Jazz di sapore internazionale e quali intenzioni dai agli arrangiamenti che vedono solismi di assoluta personalità estetica?
R.Il progetto “Pure Joy” vuole essere una celebrazione della forza vitale della natura. In questo lungo viaggio, partito quasi un decennio fa, mi hanno accompagnata molti incredibili musicisti fra cui quelli che citi ma anche altri nomi del jazz contemporaneo provenienti da numerosi diversi Paesi del mondo. Ho avuto l'onore di collaborare con il fisarmonicista Fausto Beccalossi, profondo conoscitore del jazz mediterraneo, il sassofonista siciliano Stefano D'Anna, il compositore e sassofonisa statunitense Seamus Blake con cui stiamo per chiudere le riprese del nostro terzo album “Earthings”, in uscita il prossimo anno. New entri in organico il brillante vibrafonista Marco Bianchi ed il trombettista Fabio Morgera, che è stato già nostro ospite nel nostro recente concerto alla "Casa del jazz" di Roma. Mi piace viaggiare attraverso la musica, anche in senso sia storico che geografico: siamo partiti dal Mediterraneo per arrivare con “Firedance” fino agli Stati Uniti, per poi ripartire alla volta dell'Africa che quest'anno stiamo descrivendo con le nuove composizioni.
D.Quali pensi siano stati i musicisti che ti abbiano maggiormente ispirata?
R.Posso dire, senza dubbio, di essere stata folgorata fin da bambina dalla musica di John Coltrane. Così immaginifica, spirituale ed incontaminata... Nel percorso di questo incredibile artista è presente tutta la parabola umana, dalla gioia più pura alla sofferenza più cocente. Tutto è in un equilibrio meraviglioso che ascende attraverso una preghiera di suoni. Credo che pochi musicisti abbiano saputo condurre una ricerca di altrettanta profondità. In casa mia non è mai mancata buona musica e ho potuto assorbire molti stimoli: mi sono nutrita della freschezza di Shorter, dell'eleganza della Bley, dell'umanità di Henderson, dell'energia cocente di Ornette o di Mingus... troppi sarebbero i nomi che vorrei farti! Da Debussy a Marc Turner, il mio immaginario musicale beneficia delle suggestioni più eterogenee. Eppure io credo che un tratto comune ci sia: la capacità di raccontare una storia, trascendendo ogni aspettativa.
D.Salviamo nella tua Memoria alcuni album che ritieni imprescindibili per la tua maturazione musicale…
R.La prima volta che ascoltai un contrabbasso avrò avuto forse cinque anni e si trattava dell'album “Pop Pop” di Rickie Lee Jones. Quindi neppure un disco dichiaratamente jazzistico. Domandai a mio padre che strumento fosse quello che ascoltavo e lui mi rispose che era molto simile ad un grosso violoncello, suonato da uno dei più grandi musicisti che conoscesse. All'epoca ancora non sapevo che si trattasse di Charlie Haden, che mi avrebbe influenzata nella ricerca timbrica per il resto della mia vita.Il secondo album fondamentale per me è stato forse “Out of the woods” degli Oregon. L'avrò ascoltato decine e decine di volte ma non riesce mai a stancarmi con la sua gaiezza, il suo mistero e della sua pienezza. Il mio prossimo album, che sarà dedicato alla musica orientale, certamente lo omaggerà con grande gratitudine. Il connubio fra oboe e sitar nel jazz è un brivido indescrivibile. Un terzo album che non può mancare fra gli indispensabili è certamente “A love Supreme” di J.Coltrane ma non posso spiegarti approfonditamente che valore io gli dia nel mio intimo. Certamente è una delle opere d'arte che maggiormente ha districato i miei nodi esistenziali. Se potessi portarmi su un'isola deserta solo tre dischi probabilmente mi porterei questi. Molto meglio sarebbe se potessi avere a disposizione tutta un'immensa isola fatta di dischi di Jan Garbarek, Dave Liebman, Dexter Gordon, Eric Dolphy, Bill Evans....
D.A prescindere dai vari generi, qual è la tua opinione sulla musica contemporanea?
R.La musica contemporanea è come un treno che viaggia in due direzioni opposte al contempo. Da un lato la ricerca in ambito colto si avvale di tecniche sempre più raffinate, sia esecutivamente che tecnologicamente (basti pensare al progresso delle tecniche di registrazione e riproduzione sonora...). Dall'altro, la discografia commerciale sembra aver toccato dei livelli di inespressività mai registrati nella storia. Come possono essere figlie dello stesso tempo? Purtroppo tanta arte, non solo la musica, si è talmente visceralmente sporcata con l'idea del guadagno da non avere più un'anima. Per molti miei coetanei il jazz è senza dubbio una musica del tutto impopolare, ma io sono fiera di appartenere ad una ricerca fra quelle rimaste più dedite alla bellezza. Poi, chiaramente, anche nel jazz non mancano le logiche del guadagno, il compromesso politico, d'immagine...ma a me piace pensare che si conservi in genere una certa integrità nella visione d'insieme.
D.Domanda obbligata: quali progetti futuri per la tua visione artistica?
R.Il mio più grande desiderio sarebbe poter dire, un giorno, che questo mio passaggio nella vita abbia avuto un senso di luce, di aver potuto donare con la mia musica un granello di speranza e di pace. Il percorso da fare è molto lungo ma sono certa che la natura, in cui sono immersa, saprà sempre darmi le risposte e le suggestioni che cerco. Spero che l'arte sappia guidare l'umanità verso una maggior saggezza in termini di fratellanza e di rispetto dell'ambiente che ci ha accolti, così pieno d'amore e di sorprese.La musica rappresenta un'enorme possibilità espressiva per me, mi riempie di una gioia sempre autentica e fresca, come quella di un bambino intento in un meraviglioso gioco d'inventiva. Sono profondamente riconoscente verso tutti coloro che hanno intrapreso questo viaggio prima di me, portando nel mondo un'inestimabile bellezza.
Fabrizio Ciccarelli
Line up
Giovanni Amato : trumpet, fluegelhorn
Francesco Baiguera : guitar
Guido Bombardieri : alto e and soprano sax, bass clarinet
Davide Bussoleni : drums
Emanuele Cisi : tenor sax
Joy Grifoni : doublebass, voices, compositions
Mattia Manzoni : piano