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TURANDOT, OVVERO L’IPERBOLE. 

Turandot, Arena di Verona, Rai 3 19/8/2024 

Il Melodramma, fin dalla prima grande stagione, che secondo chi scrive coincide con la Trilogia di Mozart/Da Ponte (Nozze di Figaro/Don Giovanni/Così fan tutte), anni 80 del 18° secolo, si nutre intimamente di storie che debbono rappresentare situazioni e, forse più ancora, personaggi, archetipi facilmente riconoscibili e universali.

Nello specifico i sottotitoli sono eloquenti, nel loro lucido cinismo (“La Folle Giornata”/”Il Dissoluto Punito”/ “La Scuola degli Amanti”...o delle Corna! Ma c’era l’ Imperiale Censura!).

Da Allora, almeno nei melodrammi più riusciti, soprattutto in epoca romantica, la galleria dei personaggi principali,  e quindi degli Archetipi, si arricchisce a dismisura.

Con Turandot siamo a un momento decisivo di trasformazione radicale. Certo, alla fin fine, su tutto riesce ancora ad imporsi la Musa (e la Musica) di Puccini.

Ma i debiti, in campo strumentale, e orchestrale, sono davvero internazionali: siamo nel 1924; si è conclusa la parabola Impressionista, quella dell’Art Nouveau. Ed è prossima a concludersi quella di Ravel.

Vogliamo parlare dei “debiti” con la Musica Russa? Stravinsky in testa? E anche Stravinsky, dalla fine degli anni 10, “sterza” verso un Neoclassicismo Rivisitato, filtrato dalla sua sensibilità ironica e sarcastica, vedi il ”Pulcinella”...solo per fare un esempio.

Ascoltando con attenzione l’accompagnamento strumentale della Morte di Liù nel Terzo Atto, limitatamente all’orchestra, ci sento moltissimo dell’Inizio del Sacrificio della “Sacre du Printemps”, la Bomba che nel 1913 polverizza gli estremi, colossali, lasciti sinfonici di Bruckner e Mahler (ma già nell’”Oiseau de Feaux” del 1909, c’è un Esotismo “all’arsenico”).

I due personaggi femminili sono quanto mai estremi e opposti. Tanto la “Principessa di Morte” ha una vocalità scellerata, estrema, gelida e inumana, quanto Liù, che sintetizza in tragico tutte le protagoniste pucciniane, continua a palpitare di “immenso amore”, pur perfettamente cosciente dell’impossibilità totale dell’appagamento di esso (Leopardi: Il Ciclo di Aspasia, Amore e Morte!).

Anche le figure maschili sono totalmente estremizzate: alla foga giovanile, disperata e in gran parte incosciente di Calaf, si contrappone la disperazione dolorosa del padre, il vecchio Timur, o, forse anche peggio, la disperazione impotente del padre di Turandot, l’Imperatore Altoum.

Sempre per Archetipi anche i 3 Ministri, per metà esseri umani (inizio Secondo Atto), per metà maschere sadiche e derisorie (il Grande Potere, in pubblico, abborre il sentimento).

E il popolo? E’ sparito, schiacciato, polverizzato. Come dice con crudelissima coerenza la Protagonista, si è ridotto a una “Nera, Infinita Umanità”. Per dire la verità, sulla cronica debolezza popolare avevano già decretato Verdi in Don Carlo, e Moussorgsky in Boris Godnov, 60 anni prima. Ma qui siamo davvero quasi alla “poltiglia umana”.

Torniamo a noi e allo spettacolo in oggetto: questi Archetipi dell’ultimissimo grande Melodramma, sono stati affrontati? E Come?

Personalmente, facendo un aggancio Olimpico, io darei la Medaglia d’Oro alla Liù della  Mariangela Sicilia. Cupa come intonazione e con un fondo funereo, anche sottolineata da un costume violaceo (la “sfiga cosmica” nel Lessico Teatrale). Intensissima e centratissima.

Alla morte di Manon Lescaut, la protagonista, con voce alitata (sublime Caballè 1970!) sentenzia: “le mie colpe travolgerà l’Oblio...ma l’Amor mio...non...muore”. Ci sta ancora la suprema Illusione. Liù è perentoria, autosuicida :”per non...per non...vederlo più”.

La Medaglia d’ Argento per me va  all’ottimo Timur di Fassi: forse un po’ giovanile e generoso vocalmente. Ma che piacere sentire un basso così “in palla”, e interpretativamente giusto, intenso, vibrante, e finalmente “sanamente” sonoro!

La Medaglia di Bronzo la darei ex-aequo al bravo Ping di Youngjun Park, pieno ed espressivo, e al maturo Imperatore Altoum di Carlo Bosi, vibrante e ansioso.

Meno mi hanno convinto il Calaf di Eyvazov e la Turandot della Semenchuck: certo, si parla di cantanti collaudati, che i ruoli, vocalmente, riescono ancora a “coprirli” correttamente.

Il punto è che, se vogliamo palare di vera interpretazione, io non la sento.

Il tenore ha già un colorito frigidino: mostra decisamente poca empatia verso Liù, e quasi non “recita”, molto preoccupato certo da una tessitura scellerata, che tuttavia lo assorbe almeno al 95%.

La Soprano ha una situazione simile: di fondo uno strumento consistente; ma una principessa così coinvolta e melodrammatica, che ci sta a fare con la “Principessa di Morte”, la Marziana scesa sulla Terra, a dominare con ferocia la “Nera, Infinita Umanità”?

Positiva la prova del Coro diretto dall’espertissimo Gabbiani. Il giovane Michele Spotti, 31 anni (per un direttore d’orchestra poco più che un neonato), avrebbe belle qualità, ma sembra intimidito da un’orchestrazione colossale: e tutto il Novecento storico che vi sta dentro si sente solo a tratti.

Molto bella la Regia di Zeffirelli, pur essendo la versione semplificata del meraviglioso spettacolo del Metropolitan con Levine nel 1988, prima su DVD Deutsche Grammophone, passato poi a De Agostini.

Ottime le presentazioni di Luca Zingaretti, che ha giustamente concluso con un acuto interrogativo, a proposito del convenzionale Finale di Alfano:“ci sono 36 fogli di appunti e schizzi pucciniani per il finale: siamo sicuri che il Maestro avrebbe approvato quello di Alfano (molto retorico, aggiungo)?”

E infatti mi gira di più la ricostruzione di Berio, decisamente filonovecentista...dovendo ricostruire, quello che resta solo un progetto accennato.

Tre consigli. Quale la migliore Turandot in Video?

Appunto Met/Levine/Domingo/Marton/Mitchell. Pubblico osannante. Quale la migliore Turandot in Studio? Decca 1972 Mehta/Sutherland/Pavarotti/Caballè/Ghiaurov, ancora splendida. Quale la Migliore Turandot Live Audio? Doppia scelta: Vienna 1961 Nilsson/Price/Di Stefano/Molinari Pradelli (colore stupendo il tenore ma acuti sforzatissimi), La Scala 1964 Nilsson/Corelli/Vishnevskaja Gavazzeni (voci inebrianti ma direzione grigia).

La Grandissima Callas in questo ruolo è stata sfigatissima: sopravvivono frammenti, pezzettini da Buenos Aires 1949 con Del Monaco e Serafin, dove si intuisce una serata memorabile e un pubblico osannante. Ma sono frammentini. La registra nel 56 in studio a Milano…ma la voce si è accorciata, nonostante intuizioni interpretative strepitose e, concordo con l’imponente opera di Elvio Giudici: “Intorno a lei, il Nulla”. Un cast grigio e opaco.

Ma questo ci porterebbe a parlare anche di tante (troppe?) sue debolezze e vanità di quegli anni, sue  o indotte, comunque da lei avvallate. Come dice Nietzsche? “Umano, troppo Umano”!!!

Domenico Maria Morace

Turandot : Ekaterina Semenchuk. Il principe ignoto (Calaf): Yusif Eyvazov. Liù: Mariangela Sicilia. Timur: Riccardo Fassi. Ping: Youngjun Park. Pong: Matteo Macchioni. Pang: Riccardo Rados. Imperatore Altoum: Carlo Bosi. Orchestra, Coro, Ballo e Tecnici della Fondazione Arena di Verona. Regia e Scene Franco Zeffirelli. Direttore d'orchestra Michele Spotti. Maestro del Coro Roberto Gabbiani. Costumi Emi Wada.

In streaming: https://www.raiplay.it/video/2024/08/La-Grande-Opera-allArena-di-Verona-Turandot-afedc504-d330-493e-9a24-a2bf83acea6c.html

 

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