Ambrose Akinmusire, Auditorium Parco della Musica, Roma. 23.4.2018
Si è esibito sul palco della Sala Petrassi presso l’Auditorium Parco della Musica a Roma il trombettista americano Ambrose Akinmusire. Classe 1983, vanta collaborazioni con artisti del calibro di Steve Coleman, Aaron Parks, Walter Smith III, Esperanza Spalding ed il batterista Jack DeJohnette. A condividere il palco con lui il pianista Sam Harris, il contrabbassista Harish Raghavan ed il batterista Justin Brown.
Un concerto energico ed elettrizzante in cui sono emerse le ottime capacità compositive e di arrangiamento del trombettista e lo spiazzante drumming di Justin Brown, vero e proprio perno di tutta la ritmica.
Il set è cominciato con un’introduzione in piano solo alla quale si è aggiunta delicatamente la tromba di Ambrose sprigionando una sonorità lirica e rilassata. Il timbro ci riporta alla mente Miles Davis ed il fraseggio è sapientemente dosato con dei piccoli tocchi blues. Dopo lo svolgimento dell’intro, è intervenuta in maniera puntuale e ben assestata la ritmica di Brown e Raghavan che ha ripreso il brano attribuendogli una differente connotazione. Si sono infatti inserti con un pedale su di un unico accordo ad una velocità maggiore rispetto a quella iniziale, dando la sensazione di ascoltare una sorta di suite della durata di una decina di minuti. Ultimo aspetto da tenere in considerazione riguarda il finale che si è distinto per la sua sonorità giocosa e allegra rispetto all’andamento fin lì raggiunto dal pezzo.
Caratteristica da non sottovalutare è l’abilità del band leader di sviluppare un discorso melodico dal gusto squisitamente moderno mantenendosi vicino ad uno stile barocco. Ne è un esempio l’introduzione del secondo brano svolta interamente dalla tromba senza l’ausilio della ritmica. La mancanza del pianoforte non ha però influito in alcun modo sulla chiarezza armonica che Ambrose ha esibito tra una cadenza e l’altra. Chiari ed equilibrati sono stati i collegamenti tra gli accordi svolti prevalentemente con l’uso di triadi e tetradi diminuite.
Durante il terzo brano Sam Harris ha accompagnato elegantemente sia le introduzioni del trombettista sia quella del contrabbassista Harish Raghavan nel brano A Song To Exhale, una ballad dal sapore malinconico eseguita con archetto nella parte acuta dello strumento come fosse un violoncello. La scelta stilistica dei voicing ha consentito di alternare sensazioni di atonalità a momenti propriamente tonali enfatizzati anche dall’utilizzo di terze maggiori al basso.
Nel brano seguente, si è optato per un’entrata diretta ed energica senza alcuna introduzione. I musicisti, nonostante un tempo medium up, hanno saputo compiere delle vere e proprie acrobazie interagendo e comunicando tra loro senza perdere mai il senso del brano. In particolare, Justin Brown ha dato esempio di un controllo e di una fantasia ritmica fuori dal comune, sfoggiando kick della miglior fattura. Dopo un primo solo di pianoforte dal carattere ritmico ed incisivo, è stato il momento di quello di tromba. Harris, Raghavan e Brown per l’occasione hanno lasciato che Ambrose si destreggiasse in solitudine tra la griglia armonica del brano esattamente come per l’introduzione del secondo pezzo.
In uno degli ultimi brani, Sam Harris ha utilizzato il Rhodes per l’accompagnamento armonico. Questo strumento dai toni caldi e cristallini è servito ad arricchire maggiormente la qualità timbrica del quartetto. Harishn Raghavan si è poi cimentato in uno splendido assolo melodico e coinvolgente, rivelando delle ottime capacità da solista oltre che da sideman.
Per un’ora e quaranta minuti di concerto sono stati eseguiti nove brani originali sapientemente concatenati l’uno con l’altro.
L’apice della performance si è raggiunto durante il penultimo brano, staccato ad un tempo incalzante dal pianista con un incipit ritmico su due accordi. Non si è mai scomposto il batterista Justin Brown che ha dimostrato di essere un vero fuoriclasse giocando a rialzo sul timing. In un vortice di rallentando e accelerando, Harish Raghavan ha sempre mantenuto la sua posizione attaccata al bit. Sam Harris ha scelto un comping ritmico e ricco di cluster, simile al pianista di recente scomparso Cecil Taylor.
Il concerto è terminato con un bis dai colori tenui, una ballad stile impressionista pregna di una sonorità ancora una volta davisiana creata da Ambrose inserendo tutta la campana della tromba nel microfono, facendo vibrare e quasi distorcere i suoni gravi. Forte il richiamo a My Funny Valentine, album live registrato da Miles Davis con il suo secondo quintetto.
In conclusione, possiamo senza ombra di dubbio affermare che l’esecuzione musicale si è caratterizzata per un’intensa profondità sonora dai timbri contestualmente energici e suadenti. La fluida, scorrevole ed accattivante successione nella quale i pezzi si sono succeduti ha saputo catturare la costante attenzione del pubblico che si è profuso in un caloroso applauso.
Alessandro Bon
Ambrose Akinmusire tromba; Sam Harris piano; Harish Raghavan contrabbasso; Justin Brown batteria.