CONCERTO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE
Sting Live in Lucca 29/07/2019
Quando l’oscurità è scesa pienamente su Lucca e avvolge la città come la sua unica cinta muraria ancora tutta intatta, si accendono, sul palco di Piazza Napoleone, un set di fasci di luce rossa che introducono già nel colore il protagonista della serata musicale e la compagna che ha dato il La a questa eccezionale vita musicale.
Sting entra in scena e con lui Roxanne! Un brivido quarantennale attraversa ogni fan che sia giunto in questa piazza per ascoltare di nuovo i capolavori di una carriera unica e scende fino a scuotere quel bagliore che oltre il tempo è la nostra anima. Il Sol Minore di questa canzone dedicata a una prostituta: Sting lo tiene e lo dispiega tutto fra le sue braccia negli accordi della chitarra acustica. Probabilmente proprio nella forma in cui la canzone ha conosciuto la sua nascita nell’albergo di fronte a un bordello di Parigi. Quel bordello a cui un uomo ventenne voleva strappare l’amata prostituta e darle una vita che non dovesse più accendere la luce rossa. Canta Sting: … Roxanne / You don’t have to put the red light / Those days are over / You don’t have to sell your body to the night. Una voce che non ha segni del tempo, se non quelli degli aromi che si vanno costruendo lungo il tempo e costituiscono le nobili venature di un vino d’annata, si impadronisce della piazza e rigenera appunto le anime di chi è giunto fin qui: la prostituta che fino a duecento metri prima si poteva incontrare e guardare nel segno della discriminazione se non del disprezzo nelle vie della stazione di Lucca diventa la regina della serata. Così, con il miracolo della palingenesi, sia nei confronti di questa donna ma soprattutto dei nostri pregiudizi, che solo riesce all’arte, si apre l’ultima serata del Lucca Summer Festival. E comincia a dispiegarsi quello che in una notte ancora fatata diventa lentamente, intonato al cognome di Sting, il “Lucca Sumner Festival”.
Roxanne lascia il testimone a due altri miracoli musicali del genio di Sting e il pubblico, incantato dalle note della canzone di apertura, si riappropria di se stesso, di ciò che nelle anime di ognuno si è sedimentato lungo i quarant’anni del rapporto con questo musicista; con ciò che dalla latenza della vita quotidiana riemerge prepotente fra le note di Every Little Thing She Does Is Magic e Message in a Bottle. Cala ogni maschera che ognuno abbia dato alla propria esistenza e il suono si fa volume nelle movenze e nella danza con cui ognuno si abbandona alla musica. Al canto. Il suo trascinato da quello di Sting. E dai veri padroni di casa della serata. I veri padroni del palco. Il basso e la voce di Sting e l’energia dirompente insieme a un’eleganza che ha ancora una volta, come con Copeland, la prova e l’abito del Charleston, fra le bacchette del batterista Josh Freeze. Sì, al fianco di Sting, c’è sempre il suo ormai trentennale scudiero di fiducia, Dominc Miller alla chitarra, ma è chiaro fin da subito come il concerto stia montando fra il basso, la voce e la batteria. Così hanno cominciato i Police. Con un duo di basso voce e batteria in una casa occupata dai Copeland a Londra nel 1977. Ed è questo che ancora oggi fa il miracolo della musica di Sting. Il miracolo dietro cui ormai si è sciolta ancora, in questa notte di note, ogni inibizione; il miracolo con cui ognuno, italiano, inglese, russo e olandese si lascia dietro la sua cultura identificante per abbandonarsi alla natura che lo riunifica all’altro ogni oltre idioma. L’unica lingua è la musica e in questa lingua continua prepotente ed elegante il Maestro Concertante.
Continua fra le note di If I Ever Lose My Faith in You. Con il canto Sting ci dice che potrebbe perdere la sua fede nel progresso, nella Santa Chiesa, nella politica, addirittura nella scienza, ma ciò a cui non ci sarebbe riparo potrebbe essere solo il tradimento della donna che ama. Più il concerto va avanti e più è chiaro come in fondo questa donna per Sting sia la musica. E, in fondo, come riconciliarsi con se stessi al giorno d’oggi, al di là di ogni morte di Dio, se non con la musica? E ognuno continua nella riconciliazione con se stesso per le vie di questo concerto. Si riconcilia con se stesso anche l’alieno della Quinta Strada che giunto fra le vie di New York si è perso in fondo fra le vie del centro di questo mercato globale che un antropologo che ci guardasse dalle pareti del cosmo farebbe fatica a capire. Farebbe fatica a capire come, nel culto del denaro, l’uomo sia diventato l’alieno di se stesso . Ma appunto ora il culto è solo per la musica e con ogni maschera, con ogni inibizione, cade anche ogni alienazione. Tutti cantano e ballano intorno alla voce di Sting: Oh I’m an alien / I’m a legal alien / I’m an Englishman in New York. Intorno alla voce di Sting e dentro la potenza e l’eleganza di una sezione ritmica che ormai è a pieni giri e ci trasporta dai 4/4 di Englishman in New York ai 5/4 di Seven Days.
Ognuno, con la musica, si riprende il suo volume, le sue movenze, la sua vibrazione di fondo … la sua libertà. Che approda e si ristora nell’atmosfera di pace e d’incanto di Fields of Gold. E’ una canzone che tutti conosciamo e che Paul McCartney ha recentemente detto che avrebbe voluto scrivere lui. E’ la canzone attraverso cui il Mosé che oggi è sul palco del Lucca Summer Festival conduce il suo popolo quarantennale in un cammino sospensivo di ogni cura e affanno, fra i campi dell’oro e dell’orzo. I campi di un orzo dorato. Inizia quindi, dopo questo cammino, la partita fra i cuori, le picche, i quadri e le spade di Shape of My Heart … la canzone gemella di Fields of Gold. Sting le ha scritte e le ha registrate nella sua dimora di Lake House nel Wiltshire; dimora dove ha scritto quello che forse è, insieme a The Soul Cages, l’album di punta della sua produzione solista, Ten Summoner Tales.
C’è una punta di orgogliosa familiarità italiana nel pensare che per scrivere e registrare The Soul Cages, un concept album dedicato alla figura del padre e più in generale alla terra in cui hanno le radici le gemme che in questo concerto si sgranano ancora una volta l’una dietro l’altra, il musicista di Newcastle abbia scelto, nel 1990, il raccoglimento nella dimora toscana di Migliarino. A pochi chilometri dal luogo di questo concerto, nella pineta di San Rossore che affaccia sul Tirreno alla foce dell’Arno così come la casa d’origine del cantante inglese affacciava sulla pineta di ferri e fatica del cantiere navale alla foce del fiume Tyne.
Intanto la partita fra picche, quadri, cuori e spade va avanti nel segno della musica e il cantante ci dice che al di là di ogni calcolo del gioco la sua maschera è una sola. Quale sia, pure nella vita complessa di una persona che deve gestire il suo personaggio su una scala planetaria, il concerto lo ribadisce a ogni passaggio. Lo vediamo Sting, attraverso le picche della televisione, i quadri duepuntozero dei social media, le spade che pure devono vibrare, anche nella sua mano, fra la competizione del commercio globale … ma quando si voglia conoscere dove batte il cuore di questo asso … siamo certi che è nella musica che pulsa e si rinnova la sua intima essenza. Quell’essenza che fa sì che un ricco e famoso uomo di sessantasette anni abbia ancora la fame della musica e del palco come quella che poteva avere il ragazzo di umili origini e anonimo che cominciava nei Pub di Newcastle. Ce lo raccontano le note di una sempiterna So Lonely, dentro cui il pubblico riconosce e canta all’unisono tutta la sua storia d’amore con questa musica, quanto debba essere pesante portare dentro di sé il seme di un talento universale nell’anonimato e nella solitudine di chi gira come un fantasma fra esistenze a cui il destino ha riservato la fatica, l’anonimato e la solitudine. Chi gira fra di esse con un talento universale e teme che questo stesso talento possa rimanere anch’esso anonimo e solo. Ma Sting ce l’ha fatta e trascina con se «all the lonely people», per dirla stavolta con una canzone di McCartney che chiunque avrebbe voluto scrivere, in una passeggiata sulla Luna il suo pubblico.
Sul palco si aprono le note di Walking on the Moon. Per dire ancora che, in questa notte, la metallurgia dell’Apollo 11 è tutta fra le corde del basso e i tamburi della batteria; nella sapiente guida di una voce inossidabile. Una guida che si rivolge al pubblico per investirlo ancora di quel coro collettivo che fino alla stessa Luna hanno innalzato i Police … Yoooooooooooooo! Prima si rivolge alla parte destra della piazza … Yooooooooooooooooooo! … poi alla sinistra … Yooooooooooooooooooooo! … quindi tutti insieme … Yooooooooooooooooooooo! Nella musica la quintessenza dell’uomo si alza veramente fino su al cielo stellato e ognuno riscopre la sua unica appartenenza … la coappartenenza alla repubblica del cosmo! Coappartenenza di esseri che in essa solo trovano la risposta alla propria fragilità.
E’ il finale del concerto … Sting riesce per il bis, imbraccia la chitarra, e nelle note di Fragile, spoglio ormai ognuno delle sue sovrastrutture, va dritto al cuore di quello che dovremo sempre tenere nel cuore … la nostra fragilità e l’unica via della risposta nel sentimento della nostra coappartenenza nella casa della Città e in quella della Natura. Nella casa della polis e in quella della physis! E’ quanto rimane e si rinnova nel sogno di una notte di mezza estate che è stato questo concerto.
Giuseppe Cappello
www.giuseppecappello.it