Mcoy Tyner Trio- Jazz à La Villette 2016
E’ uno degli ultimi concerti del pianista di Filadelfia, che lascia in più di 60 anni di carriera una discografia straordinaria per originalità, Pathos e maestria esecutiva, testimone dei cambiamenti culturali, delle innovazioni jazzistiche col magnifico quartetto di John Coltrane dal quale comunque si distanziò, non condividendone le idee free, fondando un trio tutto hard bop per la Blue Notes Records, confermato negli anni Ottanta con Avery Sharpe al contrabbasso e Louis Hayes (e in seguito Aaron Scott) alla batteria.
McCoy Tyner è un capitolo essenziale della storia del Jazz e sarebbe fin troppo riduttivo limitarne la creatività a pochi suggerimenti discografici. Per cui ci riferiremo, consigliandone l’ascolto, a questa performance, probabilmente non la più importante ma sicuramente una delle più intense, non fosse altro per il fatto che venne realizzata da un quasi ottantenne visibilmente in pessime condizioni di salute ma con un entusiasmo ed una concentrazione ben oltre a quanto richiesto a quella professionalità a lui riconosciuta da sempre dalla critica e dal pubblico.
La polarizzante fluenza modale di cascate accordiali nell’insistito dei riff e di un’improvvisazione sempre energica e passionale vive nei confini di una viscerale ricerca sull’essenza del suono pieno e dello sviluppo afro e asiatico degli accidenti percussivi su una tastiera esplorata da una prodigiosa sensibilità e da un senso dell’innovazione riferibile solo a pochissimi poeti del Jazz.
Del resto l’anima Blue di Tyner ha sempre vissuto su elementi formali ben precisi, uniformi al vettore spirituale di un ingegno volutamente mai al fuori del mainstream ed entusiasta per le memorie di Bach, Mozart, Gershwin e Debussy quanto per una ricerca interiore ispirata alle radici di quel “continente nero” frequentato con amore assoluto, come dimostra la sua magnifica discografia per la Blue Notes (“The Real McCoy” del 67 e “Time for Tyner” del 67) e soprattutto quella degli anni 70 per la Milestone Records (in verbis virtus: “Extensions” del 70, “Sahara” del 72, “Enlightenment” del 73, “Sama Layuca” del 74).
Ma non solo di questo vive la sua essenza pianistica, forse considerata da molti quasi unicamente negli aspetti più vistosi della sua animosità espressiva, considerando la fluidità astrale del suo swing ed il lirismo crepuscolare delle sue ballads spesso distoniche e riferibili ai tratti essenziali della sua biografia, prima che artistica, umana.
Nel second set di questa performance è Geri Allen a sostituire Tyner al pianoforte. Medesimo trio con Gerald Cannon al contrabbasso e Francisco Mela alla batteria: due amici d’avventura che in qualche modo avvicinano il ricordo di Jimmy Garrison ed Elvin Jones, geniali comprimari nell’indimenticabile Quartetto con Coltrane. Geri Allen omaggia Tyner nei micron della sua parcellizzazione formale, volando sui pentagrammi con quella levità espositiva che distingue da sempre il suo modo d’interpretare, affabile, plastico, sinuoso e gentile, privo di “overconfidence”, eccessiva predisposizione cognitiva, nei confronti del protagonista della serata.
Geri si è spenta il 27 giugno 2017, due settimane dopo il suo sessantesimo compleanno, e vogliamo ricordarne l’eccellente calibro espressivo esibito nelle collaborazioni con Ornette Coleman, Ron Carter, Tony Williams, Dave Holland, Jack DeJohnette, Charles Lloyd, Paul Motian, Esperanza Spalding e molti altri.
McCoy Tyner è scomparso da poco a 81 anni, nel marzo 2020. Ne abbracciamo il ricordo, un grande ricordo per uno dei più originali e innovativi maestri del piano jazz, che pensiamo accanto ai suoi ideali mentori Art Tatum, Bud Powell e Duke Ellington.
Ora non resta che chiudere gli occhi e ascoltare nel chiaroscuro del palco, il luogo sincero per questo Jazz d’incontri che non ha mai bisogno di considerazioni finali.
Stelle luminose dell’Infinito.
Fabrizio Ciccarelli
https://www.youtube.com/watch?v=1Kx7gtfUgJU
https://www.youtube.com/watch?v=BMwFI2ncCIM (Geri Allen)