Carlos Santana, Live at Treasure Island, Minnesota, 8.4.2022
Eccolo il settantacinquenne Carlos Santana su uno dei palchi più noti degli States con la sua inseparabile PRS MD realizzata nel 1982 con il produttore Paul Reed Smith, una sei corde unica, vero marchio di fabbrica del chitarrista: registri perfetti per il suo latin sound, magneti leggeri eppur vigorosi toccati senza troppi fronzoli elettronici, niente curvature synth, nessuna pedaliera, perché Santana è quell’eccellente chitarrista che tutti ricordiamo protagonista a Woodstock nel 1969. Ed appunto con brevi immagini di quell’evento proiettate sullo schermo alle spalle della band inizia il concerto, neanche a dirlo con una versione di Soul Sacrifice vicinissima a quella del festival: dieci minuti di energia rock come si deve, percussioni tirate al massimo, assolo del band leader meno psichedelico e più netto, pulito, elaborato (come nella versione del vinile e nell’on stage storico) in potente slow dialogante con una magnifica sarabanda di batteria e congas quale plateau per l’imprescindibile ottava medio-acuta del fulmine messicano.
E tanto giustificherebbe la visione della performance, non proprio eccellente dal lato registico ma discreta da quello acustico: ma accontentiamoci perché eventi come questo meritano la nostra attenzione. Il senso di Soul Sacrifice prosegue imperterrito nel travolgente Jingo (ovvero Jin-Go- Lo-Ba del 1969) e nelle vie coeve del blues anticonvenzionale di Evil Ways, quasi Santana voglia dare il senso della sua storia musicale nei brani che lo hanno reso celebre, come nella Black Magic Woman del 1970 ben sonorizzata dal vocalist Andy Varga e nel celeberrimo mambo di Tito Puente Oye Como Va del 70 (a dir il vero impomatato per fini evidentemente commerciali vista la romantica e un po’ sdolcinata cantabilità della cover contenuta in Abraxas, immeritatamente al tredicesimo posto della classifica Hot 100 dell’autorevole rivista “Billboard”: bah…).
Vada come vada ma il protagonista è sempre lui, cuore di stregone e frizione monstre dedita al collettivo fin dal momento in cui intuì il peso specifico musicale della Mahavishnu Orchestra dell’amico John McLaughlin, di Miles Davis e di John Coltrane.
Poi la popular Samba Pa Ti (Chi non la ricorda? Comunque ci risiamo col commerciale d’antan) senza dubbio meno “americana” rispetto alla versione del 70 e per questo a noi più gradita, più aggressiva e lirica e vicina all’ imperdibile lettura che ne diede il grande Gato Barbieri nel 1981.
Santana sul palco: Carisma intatto, grafia effettististica nel noto overdrive, certamente meno appassionante nei brani più recenti presentati nella performance (dei quali preferiamo omettere osservazioni antipatiche: per capirci svenevolezze rugiadose come Corazon Espinado preferiamo lasciarle ai fighetti delle High School e alle orecchie avvizzite dei nostalgici inclini alle suggestioni del basso sentimentalismo) pur se lo spirito solistico di Santana non può esser mai messo in discussione per tecnica e magia espositiva, tenuto in andamento ampio da una rovente band della quale osserviamo con attenzione il sapido slap bassistico di Benny Rietveld nell’agitato solo dedicato al superlativo gospel-rock Purple Rain di Prince (!), il focoso drumming di Cindy Blackman (consorte di Santana) e l’ampiezza sinergica funk delle tastiere di David K Matheus.
Hanno suonato con Carlos Santana Cindy Blackman alla batteria, Andy Varga alla voce, Benny Rietveld al basso, David K Matheus alle tastiere, Karl Perazzo e Paoli Mejìas alle percussioni, Ray Greene alla voce, Tommy Anthony alla chitarra ed alla voce.
Un Barrio Mex sempre vivo nel Divenire di un invincibile chitarrista in auge da oltre 50 anni, eccezion fatta per alcuni album dagli anni 90 in poi: ma, si sa, più son bravi più si lasciano rimprocciare per le inevitabili corbellerie del business dettato dal mercato, ahinoi….Ma Santana è davvero sempre un gran Santana!
Fabrizio Ciccarelli
questo il link: https://www.youtube.com/watch?v=0hVk5bPSdJs