Nate Smith, Live at Vienna 13.7.2022
Un nome che anche in Italia inizia a diffondersi sempre più quello del batterista americano Nate Smith, enfant prodige di cui le riviste di settore si occupano dal 2008 (anno del suo primo disco da leader: Workday, Waterbaby Music) e con sempre crescente interesse seguono molti jazzofili.
In pura essenza fusion il Jazz di Smith segue le storiche linee indicali dei periodi elettrici di Chick Corea ed Herbie Hancock, pur restando fedele a quell’imprinting cool e hard bop con cui ha arricchito la sua carriera da sideman con Robin Eubanks, Dave Holland, Randy Brecker, Chris Potter e José James, turnista sempre più ricercato negli ultimi dieci anni da tanti protagonisti della contemporanea.
Nate Smith un po’ di tempo ce l’ha messo per imporsi all’attenzione perché i suoi studi sono stati lunghi, prestigiosi ed approfonditi (e si sente) e anche perché per un batterista non è mai facile farsi notare al punto di divenire un punto di riferimento, specialmente in America, terra di grandi drummer sia a Nord che a Sud. Ma la bravura e la creatività pagano sempre nel Jazz, al punto che oggi Nate viene considerato come uno dei batteristi più abili ed eclettici, fermo restando che della sua sconfinata ammirazione per Art Blakey (cui aggiungerei per sensazione Brian Blade, Peter Erskine e Philly Joe Jones) resta l’impronta decisiva della verticalità nell’elevare armoniche, inventare suoni sulle pelli Evans e sui piatti Zildjian di una batteria Ludwig preparata ad hoc, come si sente chiaramente nei suoi eccellenti soli sia ad inizio concerto, quando introduce la sua band, che nell’accompagnare con sostanza più che muscolare direi di polso ogni brano proposto.
Nate ha dato vita ad un gruppo perfettamente concentrato sul suo pensiero musicale: notiamo in primis la libertà impetuosa di Jaleel Shaw al sax soprano ed al sax alto (credo un raro Selmer anni 70) come in Altitude e Dynamite, la fluida compostezza dell’ottimo chitarrista Brad Allen Williams, del bassista Fima Ephron e del tastierista Jon Cowherd in Square Wheel e in Morning and Allison. In tutta sincerità non condividiamo la scelta della vocalist: non ce ne voglia Amma Whatt, singer pur brava nel cantautoriale ma un po’ fiacca nel fraseggio, voce di modesta potenza e alquanto spenta nei vocalizzi sull’ottava alta di cui questa Fusion avrebbe necessità, magari brava in altri repertori egualmente newyorkesi, chissà. Insomma, ne faremmo volentieri a meno: ma, si sa, le scelte di un band leader non sempre possono essere intuite con facilità, troppi controvalori intercorrono tra il nostro ascolto e le umane condivisioni affettive di chi sceglie la band, molto spesso non facilmente comprensibili all’istante.
Chiude il concerto un’intensa ballad, Home Free, interpretata con emozione dalle intime angolature del sax alto di Jaleel Shaw e dalle note crepuscolari piane e liriche di Jon Cowherd al Fender Rhodes.
Tutto bene o quasi. Bene ma non benissimo. Del resto di concerti straordinari di questi tempi se ne ascoltano pochi, visto che siamo da tempo in un periodo nel quale osserviamo innumerevoli momenti di cambiamento dopo tanti decenni di performances indimenticabili: qualunque Arte ha bisogno, al di là di ottusa indifferenza, di momenti di pausa, di riflessione e di rielaborazioni che vanno incoraggiate, attese e, se possibile, immaginate nel loro necessario divenire. Altrimenti cosa sarebbe la Musica se non retorica Iterazione e subbuglio stilistico? A suo tempo anche la Fusion conobbe critiche feroci e aperto disprezzo da parte dei soliti ortodossi: ora è davvero il sale del jazz, quel mix di colori e linguaggi World, Rock, Ambient e Hip Hop che (grandi numeri considerati) detta le dominanti linee stilistiche di numerose incisioni e molti eventi Live.
Quando performers di questa caratura animano riflessioni di tal genere ne consegue che il loro Sound va considerato con attenzione, condivisione e soprattutto sympatheia.
Pertanto questo è un concerto assolutamente da ascoltare per la bravura degli strumentisti in una Fusion che sicuramente (non sappiamo quando, ma questo è il bello) darà un importante contributo ad un sicuro Rinascimento Jazz.
Fabrizio Ciccarelli
Nate Smith – Batteria
Amma Whatt – Voice
Jon Cowherd – Piano + Fender Rhodes
Jaleel Shaw – Saxophone alto + Saxophone soprano
Brad Allen Williams – guitar
Fima Ephron – Bass
0:00) Altitude
(11:04) Street Lamp
(19:31) Collision
(25:35) Small Moves : Interlude From Here
(33:21) Dynamate: Bounce: pt Ⅰ
(40:15) Square Wheel
(46:47) Pages
(51:14) Morning And Allison
(57:30) Disenchantment: The Weight
(1:04:50) Rambo: Burn For You
(1:15:20) Home Free
https://www.youtube.com/watch?v=HA4dxpek0Fs&t=383s