I FRATELLI
Le Prime del Don Carlo (Napoli, Teatro San Carlo 2.12.2022) e del Boris Godunov (Milano, Teatro La Scala, 7.12.2022)
A colpi di “Pesi Massimi” i due più importanti teatri d’opera italiani hanno inaugurato la stagione 2022/2023, a Napoli e Milano. “Don Carlo”(versione in 5 atti, Modena 1886, ultima rimodulazione dall’originale del 1867) e a Milano la Prima versione 1869 di “Boris Godunov”, la più “breve”.
Stiamo parlando di titani del Melodramma, assoluti, al pari di “Don Giovanni” di Mozart, di “Norma” di Bellini, di “Tristano” o “Parsifal” in Wagner. Insomma, quello che sintetizzo in NPU(Non Plus Ultra).
Lecito, a questo punto, intanto esaminare gli sforzi e i risultati di essi, al di la dei proclami dei Sovrintendenti o dei commenti annacquati e di parte dei presentatori.
Un pochino di storia, per partire. Le due opere in oggetto sono figlie degli stessi anni, la fine degli anni 60 del 19° secolo. Apparentemente molto lontane, in senso geografico, sono vicinissime sotto molti aspetti, direi appunto, “affratellate”: critica spietata del potere assoluto, solitudine cosmica del protagonista, visione implacabilmente distruttiva del potere religioso, lucidità estrema nel ritrarre le isterie bipolari delle masse, ora pronte a sottomettersi, imploranti, ora pronte a cancellarti, “comprate” da inganni e concessioni tutte, solo e sempre, di e per la “pancia”.
Già questo basterebbe ad affratellare questi spartiti. Sono stati fatti agganci del capolavoro di Moussorgsky, con “Simon Boccanegra”, “Macbeth” e, aggiungo di mio, anche “Attila” e passi di “Ballo in Maschera”. Tutto vero.
Ma è soprattutto “Don Carlo” ad anticipare, pur se solo di 2 anni, i continui agganci di “Boris”.
Ovviamente Filippo 2° sembra davvero fratello dello Zar russo. Ma troppi si sono fermati, sbagliando, al protagonista, magari agganciando Coro e Musica.
Faccio solo 3 ulteriori agganci, senza scendere troppo in dettaglio, per evitare dimensioni wagneriane del pezzo. Il perfido e perverso potere ricattatorio del Gesuita Rangoni, è speculare a quello del Domenicano Grande Inquisitore di Spagna: parole diverse e ambienti lontani, ma stessa matrice. Il frate/Carlo 5° ha il tono profetico e catartico delle denunce di Pimen. La psiche torturata di Grigorji si avvicina molto al tormento di Don Carlo, e i loro destini sono sempre crudamente politici: la liberazione della Fiandra da un lato, l’imposizione dell’inganno per la conquista del potere dall’altro. Entrambi “evirati”, sia pure in maniera diversa, da sentimenti e amore.
Cominciamo con Napoli e Verdi. Una direzione musicalmente corretta e una buona prestazione di orchestra e di coro non bastano a tenere desta l’ attenzione per 5 atti. Il direttore Valcuha, che ha buone idee e intuizioni musicali, dialoga poco con i cantanti, ognuno dei quali cerca di fare il massimo di quanto può.
Ma, tolto il protagonista, Pertusi, di notevole livello, per il resto mi colpisce soprattutto la Eboli della Garanca, consistente, tesa e drammaticamente in parte. Qualche dubbio su Pertusi ci sarebbe, nascendo come basso rossiniano in primis, mozartiano in secundis. Diciamo che scalda un po’ a intermittenza: ma è sempre di grande capacità e professionalità, insomma, lascia il segno.
Il Don Carlo di Polenzani sarebbe splendido per la prosa; recita benissimo e con idee molto suggestive: ma il colore è troppo chiaro, e nei tanti momenti tesi e dolenti, si cerca invano un calore che non arriva. Il baritono Tezier, come Marchese di Posa, ha il problema inverso: bel colore pieno, quasi da bassbaritono, strumento notevole ed esteso, ma canto con poche sfumature. E si che quasi a ogni battuta questo ruolo impone accenti e colori diversissimi.
Il Grande Inquisitore di Tsymbalyuk ha una recitazione ottima, lucida, cinica, spietatamente professionale, e quindi inumana. Ma farei fatica a definirlo baritono (per Verdi deve essere basso profondo!). Giocando con le parole direi “baritenore”. Che c’entra? La Perez come Elisabetta ha una certa presenza nei momenti drammatici, sfoderando buoni centri sonori: ma questo tremendo personaggio vola spesso in sogni, deliri, utopie, dove la partitura impone acuti leggeri chiarissimi, quasi diafani. Lo strumento si indurisce. le note vengono “acciuffate”, ma ciò che si sente tanto è assottigliato quanto teso. Una rappresentazione incompleta.
A fine spettacolo, ma anche a fine atto, applausi tiepidi e poco convinti. Ad eccezione delle arie di Eboli (Garanca) in primis, e di Filippo (Pertusi) in secundis. Confrontata con “le migliori voci possibili” del Sovrintendente, la prova vocale è stata certamente dignitosa e adeguata; ma nulla più.
Un Milione e mezzo di televisori si sono accesi per il “Boris” scaligero del tradizionale 7 Dicembre.
Data la potenza e la difficoltà del titolo, pur se con i sottotitoli in italiano, un risultato buono, tutto sommato. Le Autorità presenti hanno calamitato molto l’ attenzione del pubblico, soliti sfoggi di eleganza più o meno eccentrica, presentatori addomesticati sul “minimo sindacale”, pur se corretto. Ovviamente non una sola voce, fosse pur bonariamente, critica.
Chailly sceglie la versione più corta, la prima del 1869, senza il cosiddetto “Atto Polacco”, fondamentale per comprendere l’intera vicenda. Sarebbe la versione più “dura”, quella dove l’attacco al potere ingannatorio è più esplicito. Ma il direttore propende per un certo “ammorbidimento” dei toni. Il ventaglio dei risultati è positivo e ampio: ma la sensazione di “compromesso interpretativo” resta.
Boris è Abdrazakov: figura piuttosto imponente e buon attore. A mio avviso non è in grado di misurarsi, come dicono in molti, con i grandi del passato, Ghiaurov in testa: non solo per il timbro, alquanto grigio e poco colorato, ma proprio per un’interpretazione anche buona sul lato storico e politico quanto poco convincente nel privato degli affetti familiari e delle proprie fragilità e paure.
Le scene che lo vedono protagonista mostrano certo un buono studio del ruolo, ma invano si cercherebbe la scintilla di qualcosa di emotivamente coinvolgente, se non travolgente, appunto, come in Ghiaurov.
Ho trovato bellissima, densa, compatta e meravigliosamente sonora la voce di Lilli Jorstadt, vero contralto acuto svedese, assolutamente splendida come Feodor. E mi è anche piaciuto il Capo dei Boiardi Sciuskji, Norbert Ernst, austriaco, limpido, elegantissimamente formale, perfido, algido.
Alcune fragilità ci stanno nel Pimen di Ain Anger, che comincia piuttosto maluccio, ma chiude in bellezza, a discapito di una voce molto più leggera di quella di Talvela (Vienna 70 Karajan). Notevole l’interprete. Meno il cantante. Caso inverso per il Grigorji (Falso Dmitry) di Dmitry Golovnin: un po’ troppo lucido, velenoso, fin dall’inizio; dove dovrebbe apparire sognatore e utopista. Ma meraviglioso il ghigno davanti a Boris morente, davvero demoniaco e inumano. Grande attore.
Dette cose buone di Trofimov (buon Varlaam) e ottime del Leader della Duma Markov (Scelkalov), tra i personaggi principali resta il bravo “Innocente” di Abaimov, bella figura, timbro efficace e buon accento, che però guasta un po' nella seconda parte dove son richiesti pianissimi desolati, sconsolati e lancinanti, sublimi con Karajan 70 e Maslennikov, qui molto più generici.
Anche in questo caso, applausi piuttosto trattenuti, senza particolari slanci.
Intendiamoci: nulla che getti disdoro a Chailly, ma questa lettura della Prima Edizione, convince fino a un certo punto.
Ciliegina sulla torta, musicalmente parlando, il Coro Scaligero, diretto magistralmente dal Maestro Alberto Malazzi. Prova superlativa, grandissima interpretazione.
Ho deliberatamente taciuto, al contrario di tantissimo inchiostro versato da altri, troppi, delle regie e appunto delle scelte registiche. Sia a Napoli che a Milano ci sono state contestazioni. Dal mio punto di vista fin troppo garbate ed edulcorate. Dico solo che siamo al punto che si parla molto poco della musica, pochissimo di storia musicale, e quasi nulla di canto. Invece tantissimo di subcultura intellettualoide che vuole chiaramente schiacciare e infilare in secondo piano i valori del canto, dell’interpretazione, della storia e della Musica. Tutte e due le opere ne hanno patito l’ infelicità di scelte, al pari della arroganza delle provocazioni.
Bisognerebbe, in questi casi, ascoltare ciò che si sente, dando la schiena al televisore. Talmente discutibile e mediocre è ciò che si vede: forse potrebbe poter aiutare a capire perché sono così rari i talenti che coinvolgono e sconvolgono. Queste regie li hanno quasi tutti narcotizzati.
Domenico Maria Morace
CAST DI BORIS GODUNOV
Boris Godunov è interpretato da Ildar Abdrazakov
Fëdor da Lilly Jørstad
Ksenija da Anna Denisova
La nutrice di Ksenija da Agnieszka Rehlis
Vasilij Šujskij da Norbert Ernst
Ščelkalov da Alexey Markov
Pimen da Ain Anger
Grigorij Otrepev da Dmitry Golovnin
Varlaam da Stanislav Trofimov
Misail da Alexander Kravets
L’ostessa della locanda da Maria Barakova
Lo Jurodivyi da Yaroslav Abaimov
Pristav, il capo delle guardie da Oleg Budaratskiy
Mitjucha, uomo del popolo da Roman Astakhov
Un boiardo di corte da Vassily Solodkyy
Regia di Kasper Holten
Direttore d’orchestra Riccardo Chailly
CAST DEL DON CARLO
Direttore d’Orchestra Juraj Valčuha
Direttore | Juraj Valčuha
Regia | Claus Guth
Interpreti
Filippo II | Michele Pertusi
Don Carlo | Matthew Polenzani
Rodrigo marchese | Ludovic Tézier
Il grande inquisitore | Alexander Tsymbalyuk
Un frate | Giorgi Manoshvili
Elisabetta di Valois | Ailyn Perez
La principessa Eboli | Elīna Garanča
Tebaldo | Cassandre Berthon
Il conte di Lerma | Luigi Strazzullo
Un araldo reale | Massimo Sirigu
Una voce dal cielo | Maria Sardaryan
Primo Deputato | Takaki Kurihara
Secondo Deputato | Lorenzo Mazzucchelli
Terzo Deputato | Giuseppe Todisco
Quarto Deputato | Ignas Melnikas
Quinto Deputato | Giovanni Impagliazzo
Sesto Deputato | Rocco Cavalluzzi
Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
Maestro del Coro | José Luis Basso