Keith Jarrett, Carl Philipp Emanuel Bach, ECM 2023
Non sono in molti a ricordare l’attività compositiva del quinto dei venti figli di Johann Sebastian Bach, il più conosciuto e talentuoso, forse per alcune perplessità (e invidie) che la sua copiosa produzione suscitò in qualche contemporaneo e, sicuramente, per il peso del cognome che portò con onore dal 1714 al 1788.
Resta il problema di sempre quando si parla di composizioni per clavicembalo o fortepiano, anche se il prototipo del pianoforte venne presentato dal padovano Bartolomeo Cristofari alla corte di Cosimo III de’ Medici nel 1698 ed entrò in produzione solo nel 1777 in Francia ad opera di Sébastien Erard, raggiungendo la piena notorietà col Romanticismo, perché molto spesso i brani per clavicembalo e affini sono adattati alle dinamiche strutturali del piano; la domanda che in molti ci poniamo è: ma è filologicamente corretto tutto questo? Probabilmente sì poiché nell’idea compositiva di alcuni grandi autori già dalla prima metà del 700 c’era qualcosa che apparteneva più alla natura “materiale” del moderno cordofono, e basti citare Mozart.
Keith Jarrett non ha mai nascosto il suo viscerale amore per il tardo barocco, per Bach (le variazioni Goldberg in primis) o per Mozart, memento della sua preparazione classica e del fascino su di lui esercitato dall’equilibrio del pentagramma e dalla raffinata armonia costantemente cercata dai cosiddetti musicisti cortigiani, padroni della scena nelle corti in Francia prima della Rivoluzione ma in auge per buona parte dell’800 in Inghilterra, Impero Austro-Ungarico, buona parte dell’Italia e di quasi tutte le aule regali europee. “Musica cortigiana” non reca in sé alcuna diminutio, testimoni ne sono Telemann, Corelli, Vivaldi, Scarlatti e perfino Haydn con le loro splendide melodie e soluzioni orchestrali, e testimone ne è anche il Bach figlio, scelto dal maestro americano per un album che ne contiene le pagine più coinvolgenti, una summa storica di tocco prezioso, sensibile, quanto mai vicino alla ratio del musicista di Weimar ma non per questo privo di originalità e seduzione moderna, di stile avvolgente e sincera passione, di ricerca degli strati più intimi delle “conversazioni”, delle nuances dei meditativi e degli andamenti vivaci, dello sfiorare la tastiera con una decisione che, visti i pentagrammi originali, può apparire anche più netta; è una performance oculata, tecnicamente perfetta, in qualche caso maggiormente obliqua e riflessiva, come del resto nel carattere, nell’estetica e nel raggio emozionale di Jarrett, da tempo assorto nel camerismo e nell’esecuzione in solo, rivelazione del suo stato d’animo e delle consonanze con una certa malinconia dovuta alla consapevolezza degli anni trascorsi e dei disagi dovuti ad alcuni noti problemi fisici che lo hanno costretto ad interrompere le esibizioni dal vivo e reso umanamente indispensabili gli affetti veri, quello per la moglie in primis, ancella e alma mater del suo accostarsi ad un’età grigia e oltremodo impertinente.
Per cortesia si lascino da parte i paludati saccenti “criticoni” che digrignano e arruffano per ogni lettura del repertorio classico ad opera di musicisti (non inclusi nel loro menu accademico) che con spocchia considerano motu proprio “cosa loro”, e diamo spazio all’anima, quella che i sedicenti magistri vitae non hanno mai nemmeno annusato. Keith Jarrett è pianista tra i primi di sempre, formidabile nel jazz e raffinato in qualunque altro genere abbia frequentato nella sua lunga e preziosa vita artistica: dispiace moltissimo non poterlo più ascoltare dal vivo ed avere la consapevolezza che con tutta certezza mai più entrerà in sala d’incisione perché certi Maestri dovrebbero suonare per sempre e per sempre donarci indimenticabili momenti di passione, poesia e bellezza.
Le Wurttemberg Sonatas sono state registrate nel 1994 e pubblicate nel giugno di quest’anno in doppio CD ed in due vinili: le pièces appartengono ad un periodo nel quale Jarrett si dedicò con passione a Bach ed Händel (dal Clavicembalo ben temperato del 1987 alla Suite per tastiera del 1995), Deus ex Machina nella sua media res tra musica scritta e improvvisata, brillante sfera d’impulso per più di 130 dischi di un luminare di cui non smetteremo mai di scrivere.
Fabrizio Ciccarelli Colangelo di Cesavolpe
- Sonata I in a minor, Moderato
- Andante
- Allegro assai
- Sonata II in A-flat major, Un poco allegro
- Adagio
- Allegro
- Sonata III in e minor, Allegro
- Adagio
- Vivace
Disc 2
- Sonata IV in B-flat major , Un poco allegro
- Andante
- Allegro
- Sonata V in E-flat major, Allegro
- Adagio
- Allegro assai
- Sonata VI in b minor, Moderato
- Adagio non molto
- Allegro
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