Ryuichi Sakamoto, 12, Milan Records 2023
Le vicende personali non possono non riflettersi nella produzione di qualsiasi artista: Sakamoto per molto tempo ha convissuto con un tumore e la testimonianza di questa difficile situazione si sente nelle armonie dei brani originali (12 per l’esattezza, non a caso), i cui titoli recano freddamente la data di realizzazione e null’altro.
Le atmosfere sono quelle che definiamo “modern classical”, di quel minimalismo di cui egli è stato senza dubbio maestro: atmosfere intime, notturne, meditanti, sospese in voci primitive di vibrazioni occulte, sinistre, inquiete, delineate dai sintetizzatori e dai lenti scivolii di percussioni sommesse, da tempi larghi nebbiosi densi di effetti sinfonistici e da melodismi orientali. Nessun World/pop/jazz s’intravvede, nulla di quella techno tipica dei suoi anni 90, in caso qualche sampler, qualche frammento glitch a memoria delle incisioni con Alva Noto e Christian Fennetz (“Sala Santa Cecilia” e “For” ad esempio, ambedue del 2006), uno spleen inevitabile avvertito da lui stesso come un Addio poco prima del 28 marzo di quest’anno, sapendo di non potercela fare a permanere in questo angolo di Universo.
Ultimo album purtroppo, dopo decine di prove innovative, sparse qua e là nel cinema e nel teatro accanto a grandi registi e grandi musicisti, direttore d’orchestra e raffinato pianista a completare il grande respiro degli sperimentatori assieme a Brian Eno, La Monte Young e Steve Reich, voce messianica delle tessiture sonore astratte di questo disco, quanto mai ipnotiche nel fraseggio pianistico “a nota singola”, ripetitivo e quasi addensato nel rumorismo astrale di melodie dilatate e silenziosamente liriche, un Ambient apparentemente scarno e che invece si riflette in uno specchio mistico dai colori nascosti, gli stessi delle sue colonne sonore di “Furyo” (il magnifico “Merry Xmas Mr.Lawrence” con David Sylvian), “Il tè nel deserto” e “L’ultimo imperatore”.
Credo che Sakamoto avrebbe potuto essere scrittore, pittore, scultore, architetto, psicanalista o filosofo, storico d’ogni sentimento dell’Umano; invece ha scelto la Musica, Mousikḗ, "arte delle Muse", voce mitologica della perfezione universale.
Immaginiamo che alto, magro, in completo nero con i capelli bianchissimi, riposi nel vento tenue del suo Canto Finale.
Fabrizio Ciccarelli
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