Francesco Venerucci, Indian Summer, Alfa Music 2024
Tra le doti di un pianista non possiamo non considerare il senso delle sue composizioni, come tradizione dimostra ampiamente, poiché possiede, a mio avviso, doti forse diverse da molti altri strumentisti (con le dovute, storiche, eccezioni) che gli permettono d’esprimersi con una profondità di assunti estetici più ampia, più coesa, più riflessiva. Mi sembra che il bravo Francesco Venerucci lo palesi con chiarezza in questo bell’album in ottimo quartetto, calibrato, elegante, distinto da un suono moderno e bilanciato da un mood eclettico denso di varianti espositive e di pura creatività compositiva, confermata dalla Variatio dei 10 brani tutti a sua firma, pièces dalle diverse intonazioni umorali ben interpretate da tre primissimi nomi del Jazz italiano (finanche sorprendente Javier Girotto al sax baritono oltre che al soprano ed ai flauti; magnetico Jacopo Ferrazza al contrabbasso; compunto e sinuoso Ettore Fioravanti alla batteria).
Di suo Venerucci ha le ali giuste per volare sia tra pitture intimiste che variegate di serena solarità con immagini pianistiche di volitiva fluidità o di assorta meditazione, disegnando suggestive melodie come nel tenue e fuggente valzer I FUNAMBOLI, ove il lirismo di Girotto al soprano è voce indefinita e crepuscolare (Venerucci in una recente intervista rivela di “scrivere soprattutto per sax soprano”, e si sente), o nella tenue vaghezza di JUST A BALLAD (mi sembra il sassofonista argentino citi “Roma nun fa’ la stupida stasera” di Armando Trovajoli per “Rugantino” , immortale baricentro della tradizione teatrale romana, e la citazione è quanto mai adeguata visto che il Nostro è dell’Urbe e noto compositore di colonne sonore e per teatro musicale), sbalzate dalla brillantezza del sudamericano EL CHIQUIRINO o dalle solari modulazioni de LE STAGIONI.
Curiosità: INDIAN SUMMER è espressione idiomatica inglese per indicare quella che in Italia chiamiamo “Estate di San Martino”, e ha dato titolo a brani dei Doors, degli U2, degli America, e soprattutto di Duke Ellington, maestro che ritengo nell’anima del pianista romano, pur se egli rivela che il nome venne fuori da una conversazione con Dave Liebman, con cui ha pubblicato due album, storie di amicizia e di stima reciproca, peraltro pentagramma a suo tempo scritto dal Nostro. Per inciso: i titoli fanno la storia del disco, e questo fa meditare.
Una performance di gran personalità, affabile, di buon gusto e indubbiamente attraente.
Fabrizio Ciccarelli Colangelo di Cesavolpe
Francesco Venerucci: pianoforte, composizione
Javier Girotto: sax soprano, baritono, flauti
Jacopo Ferrazza: contrabbasso
Ettore Fioravanti: batteria
# da ascoltare in https://music.youtube.com/watch?v=Me2bSEIS_bs&list=OLAK5uy_kCfWN47mG_XBZj7MSNCkGm7xfzyoQyYyY