Ambrogio Sparagna
Canti e favole di animali. Omaggio a Trilussa
Ottobrata Romana con l’Orchestra Popolare Italiana dell’Auditorium Parco della Musica
diretta da Ambrogio Sparagna e del Coro Popolare diretto da Annarita Colaianni
Nel bel crepuscolo dell’Autunno capitolino torna Mastro Sparagna.
Un’altra volta a Roma, un’altra volta nel canto agreste, nel respiro pagano, antico e multicolore, che avverte, da poeta onirico e fine etnomusicologo, in gioia di vivere con le favole d’animali di Trilussa, quasi a difenderne l’habitat naturale pensato secondo i Bestiari medievali, modello-antimodello dell’Uomo, della sua Non-Saggezza, godendo di malefatte e sapide furberie lette nel “guardarsi dentro”, comune sia al “fuoco carnascialesco” della Basilicata che ai “rimodernamenti” che furono di Carlo Alberto Salustri.
La Poetica di Sparagna nasce da un’idea per la quale nelle “Strane Note” è nascosta ogni virtù da decantare nella forma-canzone e nelle ipotesi concertanti da espandere tanto nella ricerca filologica quanto nell’impulso emotivo dettato dall’Istante che si crea di fronte al pubblico; anzi, a ben intendere, in mezzo e accanto a chi ascolta, come nella natura stessa dei linguaggi più cari al Maestro, Pizzica o Taranta o Strofe per Menestrelli nel Tutto Tondo del Cantastorie che intende coniugare frequenze ed armonie nelle Parole del Sentimento.
E nei “ragionamenti” del Pathos non può che vivere un affresco multietnico scandito nella sua essenza più arcaica e allo stesso tempo più moderna, divenendo la sintassi musicale mediterranea una Trama sincretica di allusioni celtiche, voci preromane, coloriture maghrebine, accordi arabeggianti, suoni semplici da indagare nella Panthalassa delle nostre tradizioni e trasduzioni, che rivelano quella Natura Comune che avvolge un’Europa mai distante dal Medio Oriente, dalla malinconia Klezmer delle melodie balcaniche o dai madrigali rinascimentali del potentino Carlo Gesualdo da Venosa o dai “canti di cappella” settecenteschi del materano Egidio Romualdo Duni.
Ecco perché la Meraviglia (ma non lo stupore) dell’ingresso in Sala di vesti primordiali e maschere troglodite simili a tante altre del Pianeta, perfettamente adeguate nelle proprie esigenze sceniche ad un metateatro fra Icone ellenistiche, maschere inquiete di Mamuthones, Gairm notturni di Bardi, liriche brune e amorose di MInnesanger, solfeggi da “Peregrinatio academica” di Clerici Vagantes, intuizioni plautine (peraltro già nelle immaginazioni di Trilussa), trofismi rinascimentali e temi anticlassicisti alla Rabelais.
Ecco perché le movenze metamorfiche delle dizioni di Pamela Villoresi, molto più che voce narrante dei tanti episodi della Fabula trilussiana, paiono nelle sorridenti imitazioni dei “suoni animali” un privilegio introduttivo per le rime devozionali del Coro delle settanta Voci, per i liberi gorgheggi dei pastori dell’Agro Pontino, per i riti dionisiaci dei sonetti cortigiani d’ebbrezza secentesca, come se l’intreccio in continuo movimento di quella bellezza popolare dovesse ancora Divenire nella meditazione di un Mantra Modernissimo, di un Loop da diffondere nelle tonalità naturali di zampogne, campanacci, tammorre e fischioni, mediati dalle timbriche più ordinate dell’ensemble organetto- violino- chitarra.
E tante Storie vivono nei Ritmi a Danza della Tela avvolgente dell’Orchestra Popolare Italiana quante nel calore ascendente dei nuovi paradigmi di un Blues (se si consente la dizione) medievale e poliedrico, per il quale la Forma del Folk è narrata in pronunce articolate, fusioni di sintassi senza confini che divengono un Rock ed un Jazz in cui si smarrisce, in punta di Nota, il Tempo dell’Età Dell’Oro nel quale l’immagine dell’Urbe viene laureata dalla cifra stilistica del Cantore Giorgio Onorato, magnifico esegeta del “cuore che ci è vicino”, gentile signore di 88 primavere che risponde all’invito di Sparagna e con cortese leggerezza rievoca un humus che non conosce limiti storici, donando al vernacolo del Belli tutto il perfetto umorismo della cronaca quotidiana del Trilussa icastico dicitore, “sciupone” e satiro di “minchionerie accontro ai professori”.
Canti e Favole, un Saggio Dar Musica nei Rituali Propiziatori che, dal “maggior intendere”, diffonde ed effonde un senso della vita profondamente intimo, felice e piacevole, dedicato a chi, della Vita, vuole mancare ogni banale imminenza, ogni mimica saccente, ogni oratorio confinato in un letteratura nella quale la Libertà non sia in naturale contrasto col Suono Accademico dei Potenti .
E questo, in verità, amiamo più di ogni Nota.
Fabrizio Ciccarelli
Ho chiesto a Madre Terra la forza
così da riuscire a trovare la mia strada
Mi è stata concessa la fragilità
per far nascere in me il bisogno di Lei
(da una poesia degli indiani Dakota)