Ryuichi Sakamoto
Async
Milan Records 2017
Un maestro della musica contemporanea come Sakamoto non ha certamente necessità di inventare ulteriori cifre sonore nelle quali mostrare la propria padronanza di un timbro deciso e nitido, di un temperamento visionario sobrio e ascendente.
Eppure in “Async” qualcosa (più di qualcosa) appare che ne dica dell’essenza esistenziale, ad intuire quanto della vicenda personale (la diagnosi di un cancro alla faringe) possa aver influito nella tessitura di esplorazioni tanto profonde e tra loro difformi, quasi che il pianista giapponese avesse avuto intenzione di emendare ogni possibile lascito “a futura lettura” da qualunque incertezza circa l’introspettivo entusiasmo che da sempre anima la sua ricerca di valori assoluti e tensioni tutte novecentesche (da Steve Reich ad Alva Noto, da Arnold Schoenberg alla Glitch Music dell’atonale e dell’idealizzazione teorica del “rumore bianco”). Molto del suo raffinato sperimentalismo si rintraccia nelle formule evocative già ben definite in splendide colonne sonore minimaliste quali “Furyo”, “L'ultimo imperatore” e “Il tè nel deserto”, sinfonie avanguardiste ed occasionali incursioni nel jazz che muovono da una vena World ispirata tanto alla complessa intimità di J.S.Bach (qui nella lirica fluttuante di “Andata”) quanto alla matematica “casualità dei suoni delle cose” di John Cage (“Disintegration”).
Torna in questo album l’attrazione per sviluppi melodici e armonici già presenti nella collaborazione con David Sylvian in “Forbidden colours”, magnifica pièce proveniente dall’album di debutto di quest’ultimo (“Brilliant Trees”, Virgin Records 1984) che resta punto di riferimento per la particolare illuminazione di quei tipici frammenti lirici giapponesi che segneranno per sempre la biografia filosofica del compositore di Nakano.
Tali riflessi appaiono nel bruno andamento di “Solari”, nella crepuscolare metafisica di “Zure”, nelle forme iterative di “Stakra”, ampliate al massimo in ogni evenienza offerta dalla tonalità, come in opere da sempre vicine alla fluidità emotiva di Sakamoto, la “Trilogia Qatsi” di Philip Glass per i documentari realizzati da Godfrey Reggio tra il 1983 e il 2003 (MGM 2003) ed i quattro capitoli “Ambient” di Brian Eno pubblicati dal 1978 al 1982 (ora Virgin 2004).
Secondo una propria dichiarazione Sakamoto ha concepito e registrato il disco a New York prendendo ispirazione “dagli oggetti che usiamo quotidianamente, da sculture e dalla natura“, seguendo in un incorretto, vibrante e cupo decadentismo la Voce del Sogno, come in “Fullmoon” ove il primo piano della recitazione dello scrittore Paul Bowles nel finale del film “Tè nel deserto” offre un amaro soliloquio sulla precarietà dell’esistenza : «Poiché non sappiamo quando moriremo, finiamo per pensare alla vita come a un pozzo senza fondo. Eppure ogni cosa accade soltanto un certo numero di volte, e un ben piccolo numero in effetti. Quante altre volte ricorderai un certo pomeriggio della tua infanzia?».
L’ordine del Caos nella Meraviglia per ciò che apparentemente è comune, compiuto, secondario, visibile in quegli istanti di tratti celesti e solenni di una mente versatile e quanto mai lontana da clamori.
Fabrizio Ciccarelli
Ryuichi Sakamoto: solo piano, effects
01 andata 02 disintegration 03 solari 04 ZURE 05 walker 06 stakra 07 ubi 08 fullmoon 09 async 10 tri 11 Life, Life 12 honj 13 ff 14 garden 15 water state 2 [vinyl-only bonus track]