jamiroquai, automaton

Jamiroquai

Automaton

Virgin 2017

Da una band che ha segnato importanti innovazioni nell’ambito del Funk / Acid Jazz, merito riconosciuto da circa 30 milioni di album venduti e giusti Placet della critica internazionale, è lecito aspettarsi qualcosa che sia almeno pari all’attesa dei sette anni dall’ultima uscita discografica, “Rock Dust Light Star”, performance peraltro niente affatto ascrivibile a quelle scene memorabili cui ci abituò Jamiroquai negli anni 90.

 

Eh sì, a volte è lecito attendere se non un rinnovamento stilistico almeno un procedere del discorso musicale secondo una linea estetica coerente, una forma che abbia sostanza e che non si limiti a battere sempre sugli stessi effetti speciali, sulla stessa discorsività accattivante di drum machine e scenografie underground, sulle stesse eufonie per palati insaziabili di squisitezze elettroniche che, alla lunga, qualunque ne sia il sapore e la confezione, fanno solo nostalgicamente pensare alla prima degustazione, la stessa che oggi appare stinta, piuttosto stanca, alquanto noiosetta.

Che in sette anni Jason & Company non abbiano saputo trovare adeguata incisività espressiva può anche apparire, a dir il vero, evento fatale e dettato da qualche generoso contratto che, come tutti sappiamo, lega tanti musicisti a tante Case discografiche che continuano a ragionare in termini di proiezioni economiche e probabilità statistiche che nulla hanno a che vedere con ciò che il Fatto Artistico davvero avrà ad essere, come dimostrato da quasi tutti quei fenomeni borderline di larga popolarità negli anni 80-90 (James Taylor Quartet, Style Council, US3, Housemartins, Daft Punk), anni in cui ci si attendevano non viaggi a ritroso bensì mutazioni cromatiche e ritmiche di punti di riferimento musicali riconosciuti come tali da almeno due generazioni affette da melofilia passionale.  

Per “Automaton” ipotizziamo che al massimo una terna di brani possa trovar spazio nei palinsesti notturni di note emittenti radiofoniche di cui per buon gusto omettiamo il nome, quelle che dedicano esangui locuzioni carine e faciline a nottambuli ascoltatori viaggianti e impegnati in vicende ben diverse dalla Musica, e per i quali andrebbe benissimo anche qualche morbida e gigiona anonimità new age alternata a “capolavori per caso” e avvizzite funky hits gettate là per caso.

Brani da ricordare? Siamo generosi: l’entrée pétillante di “Shake it on” (minuti 5 e secondi 14, gradevoli per muoversi il venerdì sera con un certo apprezzamento per ciò che si balla, magari migliorabile in una versione remix portata a 10 minuti e più: materia consigliabile ai tanti bravi DJ che all’UNZ-UNZ ed allo STRAPATAP preferiscono il profano dell’energia Disco Dance a Bits moderati), l’elettrica fascinazione coro + drum & bass mossa dalla bella voce di Jason Kay e dalle vibrazioni synth di “Cloud 9”, i controtempi funky e l’espressività “in levare” di “Vitamin”, in memoria di ciò che furono il Soul frusciante, le contaminazioni latin, l’ alternative ed il trip-hop Jamiroquai negli arrangiamenti dai dintorni jazzistici  ben più attenti di “Emergency on Planet Earth” (1993) e “A Funk Odyssey” (2001).

Una Storia spenta, un tentativo Jamiroquai di dar atto di riconoscenza al proprio affezionato pubblico o una sommessa ammissione che “più di tanto non si può fare”?  Che sia terminata la corsa del Nu Jazz e del suo allegro e facile trasformismo in questo storico riflusso?

Honni soit qui mal y pense. Sinceramente: grazie ma basta, Jamiroquai…

Fabrizio Ciccarelli

Jay Kay – voce, Matthew Johnson – tastiera, programmazione, Paul Turner – basso, Rob Harris – chitarra, Derrick McKenzie – batteria, Sola Akingbola – percussioni

Shake It On – 5:14 Automaton – 4:47 Cloud 9 – 3:56 Superfresh – 3:48 Hot Property – 4:31 Something About You – 3:58 Summer Girl – 5:31 Nights Out in the Jungle – 5:09 Dr Buzz – 6:01 We Can Do It – 4:06 Vitamin – 4:26 Carla – 5:33

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