Il momento della scelta nell'ultimo romanzo di Mauro Fabi
Siamo nell'agosto del 1976. Proprio mentre sta per partire in vacanza per raggiungere in Sardegna la sua amante, il commissario Raimondi è trattenuto in una Roma vuota e assolata per occuparsi di una scomparsa del tutto particolare: un uomo, Giulio Spadoni, è sceso in cantina per prendere il canotto di suo figlio e non è più risalito. Nessuno ha idea di dove possa essere finito, nemmeno la bella e laconica moglie. Potrebbe lasciare il caso al suo vice, Raimondi, ma sente d'istinto che ė lui che se ne deve occupare, che quel caso lo riguarda da vicino, che è suo, in qualche modo, anche se la emicrania terribile di cui soffre richiederebbe veramente un periodo di riposo, uno stacco dal quotidiano. Ma è una chiamata, quella che avverte Raimondi, se non il segno, la percezione di un destino.
A partire da questa scena madre, da questa discesa nel sottosuolo, Mauro Fabi dà l'avvio a un romanzo dal ritmo incalzante che ha solo la forma del poliziesco e che si delinea, pagina dopo pagina, come una vera e propria indagine metafisica e esistenziale sulla condizione umana; poco indulgente ma non disperata, questa indagine pone Raimondi, e con lui noi lettori, di fronte a biforcazioni cruciali, a scelte decisive perché anche non scegliere, quando la vita ci chiede di farlo, anche arretrare, è in fondo scegliere.
Nessuno può svuotare la cantina per noi; ciascuno è costretto a fare i conti col proprio rimosso e irrisolto, coi ricordi, con l'infanzia, con la nostalgia, con le speranze tradite, col tempo che passa, con il proprio dolore i cui "cunicoli sembrano non finire mai", proprio come quelli della cantina che ha inghiottito Spadoni. Ciascuno deve capire se quel dolore lo sommergerà o se da lì, in uno stato di persuasione e di consapevolezza, sarà possibile una qualche forma di rinascita, di redenzione.
Stefano Cazzato
Mauro Fabi, La cantina, Avagliano editore, 2018, pp.158, euro 15.00