procol harum-novum

Procol Harum, Novum, Eagle Records 2017

 

Memorie per Anime Diverse

Perchè mai parlare ancora di una Band che ha reso chiara la lettura del clima musicale e sociologico tra anni 60 e anni 70, quando in molti dichiarano che quel sound s’è spento da tempo e quei canoni sono stati da molto assimilati dalla falsa stravaganza del Pop?

All’improvviso (effettivamente: chi se l’aspettava?) i Procol Harum pubblicano un album, Novum, che in teoria del Nuovo vorrebbe dire, ma di quel Nuovo che in definitiva descrive innanzitutto le passate ceneri ed il rilancio di un’epoca che, nè in Note nè in altro, potrà mai tornare.

La cosa migliore, allora, è lasciarsi andare all’ascolto, alla Memoria, alla gradevolezza di un Progressive lieve e antipolitico, piacevole e lontano dai vertici lisergici di altri protagosti di quegli anni (Genesis, Yes, King Crimson, Gentle Giant e soprattutto Pink Floyd) dai quali i Nostri,”profeti del suono rock orchestrale”, si sono ben presto distaccati per cercare una via più regolare, più gestibile in Forme meno stranianti...perchè in certi e molti casi “pecunia non olet” (frase che Svetonio attribuì a Vespasiano in “De Vita Caesarum” VII, 23) e giustappunto quando le redini del discorso artistico non intendono affatto esser complicate da pensamenti troppo spediti, graditi ad un pubblico dal palato non esattamente sofisticato ma comunque esperto di melodie ed arrangiamenti accattivanti e di un certo livello.

Ed appunto un pubblico similare rese celebre la band britannica, portando ai vertici delle Hit Parade europee un brano come A Whiter Shade of Pale, colonna sonora di quasi un decennio di onesti ascoltatori forse ignari di come dietro a quel pentagramma in realtà si celasse il basso del Secondo Movimento della Suite per Orchestra n.3 di Johann Sebastian Bach WWV 1068 (la famosa Aria sulla Quarta Corda) sovrapposto alla melodia della Corale in BiMemolle Maggiore “Wachet auf, ruft uns die Stimme” BWV 645. Ma anche questo servì a diffondere la bellezza eterna di tante composizioni classiche, dal Genio barocco di Eisenach a Beethoven, Chopin, Musorgskij, Dvorak, Vivaldi, Albinoni, Mozart. Ed anche questo servì ad aprire il mercato musicale italiano ad orizzonti più ampi e sicuramente meno banali: era il 1967, Mogol scrisse il testo per la versione tricolore Senza luce dei Dik Dik, cover di A Whiter Shade of Pale ai vertici delle classifiche nazionali per ben 7 mesi, enorme successo della Dischi Ricordi pubblicato quasi a ridosso dell’edizione inglese, tanto che Gary Brooker, voce e leader dei Procol Harum, inviò una lettera ai Dik Dik ringraziandoli per le royalties che gli arrivarono come diritti d'autore dalla SIAE. Da quel momento, in Italia come altrove, 10 album sempre in classifica fino allo scioglimento del 1977, poi la breve Araba Fenice del 1991(The Prodigal Stranger, Sony), i caduchi tentativi del 2003 e del 2007 (The Well’s on Fire e Secret of the Hive per la Eagle Records) ed ora questo Post fata resurgo ("dopo la morte torno ad alzarmi") per il cinquantesimo anniversario della band, compleanno che avrebbe potuto esser festeggiato anche meglio, forse come tutti i compleanni. Si perdoni la lunga digressione, ma quel Senso resta ancora intatto sia per Forma armonica che per Contenuto ideologico in questo ultimo tentativo non di stupire quanto di dar corpo alla propria Composta Misura della Musica, sottolineata   dalla pittura d’antan e piuttosto attachante della copertina in perfetto stile “romantic prog” di Stuart Green, ben noto designer già autore di efficaci front cover per gli U2, Phil Collins, Paul Simon, Van Morrison, Jethro Tull, John Mayall, Deep Purple.

Ed allora perchè ascoltare? Magari solo per respirare Tempi nei quali la Musica aveva un Senso ben diverso da quello che, spesso mestamente, possiede oggi. Magari solo per perdersi nella temperata ballad I Told on You complice l’originale intenso, rugginoso, gentile e fumoso timbro vocale di Gary Brooker (sul quale c’è ben poco da eccepire) e le avvolgenti divagazioni dei magneti chitarristici di Geoff Whitehorn (ed anche su questi c’è proprio nulla da criticare), il cui rock blues torna protagonista in Image of the Beast e nel lento scorrere crepuscolare di Don’t Get Caught.

Si poteva far meglio, certamente. Ma va bene anche così. Non sospiriamo nè ci pentiamo per la scelta: in definitiva i Procol Harum sono ancora ottimi cantori di Anni da non dimenticare, testimoni di pozioni essenziali con le quali accarezzare, visto l’Oggi, tante Anime Diverse.  

Fabrizio Ciccarelli

 

Gary Brooker - pianoforte, voce

Josh Phillips - organo, sintetizzatori, voce

Matt Pegg - basso, voce

Geoff Dunn - batteria

Geoff Whitehorn - chitarra, voce

1.I Told On You (05:42)

2.Last Chance Motel (04:58)

3.Image Of The Beast (05:06)

4.Soldier (05:37)

5.Don't Get Caught (05:22)

6.Neighbour (02:55)

7.Sunday Morning (05:38)

8.Businessman (04:54)

9.Can't Say That (07:22)

10.The Only One (06:20)

11.Somewhen (03:56)

 

 

          

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