Flo
D’amore e di altre cose irreversibili
Agualoca Records -2014
D’amore e di altre cose irreversibili segna l’esordio di un connubio inedito e molto interessante: quello fra l’intensa vocalità Flo, la produzione artistica del chitarrista/compositore Ernesto Nobili e la produzione esecutiva della Agualoca Records,
etichetta affiorata nel golfo di Napoli, con lo sguardo rivolto verso latitudini distanti. Il risultato è una manciata di canzoni racchiuse in un cd ricco di ispirate contaminazioni linguistiche - fra portoghese, castigliano, francese, italiano, napoletano, catalano, siciliano – ma anche di amabili incroci musicali, con echi world in costante ritorno centripeto a un suono mediterraneo che è al tempo stesso sensuale ed etereo, popolare e ricercato, solare ma intriso della malinconia di chi vive pienamente la dimensione del mare. Le chitarre classiche/acustiche/elettriche armonizzano su percussioni che rimandano al flamenco, come il cajon, ma anche all’oriente, come il gamelan. Gli ottoni s’innestano negli arrangiamenti suggerendo dimensioni più vicine al klezmer che alla fanfara balcanica, sensazione accentuata dal determinante contributo di clarinetto e clarino basso. In alcuni episodi arrivano gli archi ad avvolgere tutto, spesso con il calore del violoncello, a volte con i guizzi del violino di Lino Cannavacciuolo, come nel frizzante Para que tu me oigas. L’utilizzo del charango getta ponti con l’America latina, come in Ça ne tient pa la route, in cui risultano evidenti le influenze di un sound meticcio alla Manu Chao, oppure nel sinuoso Meu tempo melhor, dove sembra quasi di poter ascoltare un’immaginaria Penguin Cafè Orchestra trapiantata in Amazzonia.
Flo è un’interprete che definire interessante è davvero poco, capace com’è di condensare molteplici influenze musicali e restituirle con interpretazioni passionali ed emozionanti. Più Mercedes Sosa che Ana Belén quando è alle prese con il castigliano, più Elis Regina che Astrud Gilberto nell'esposizione della saudade verde oro, più Amalia Rodriguez che Teresa Salgueiro nel far rivivere i chiaroscuri del fado; Flo esprime una vocalità che è al tempo stesso raffinata e dotata di una qualità materiale, quasi corporea, al punto che sembrerebbe di poterla vedere, se non addirittura toccare. Prerogativa che è messa in primo piano nella toccante Santa lluvia, probabilmente il brano più riuscito dell’album, in cui la cantante riversa tutto il suo impressionante potenziale di sensibilità e visceralità; oppure nella solare Olor a luna, in cui è libera di esprimersi in arditi sventolii alla Noa. O Ancora nel sentito omaggio alla canzone napoletana - humus alla base di ogni successiva esplorazione musicale - la struggente Presentimento di E. A. Mario.
Scrivere canzoni in lingue diverse dalla propria è senz’altro indice di forte curiosità intellettuale e apertura mentale; il rischio però è che diventi un modo per nascondersi, per evitare di affrontare i propri demoni e metterli in versi e rima, cosa che può accadere pienamente solo con l’utilizzo della lingua madre. Con questo disco, Flo ha speso bene il suo anno sabatico, visitando i luoghi più amati del suo universo musicale. L’augurio, anzi il presentimento, è che fra le altre cose irreversibili, ci sia anche il ritorno a casa: ad aspettarla ci sono Miranda Martino, Gabriella Ferri, Mia Martini. Ma anche Pino Daniele, Fabrizio De Andrè, Domenico Modugno, Raffaele Viviani, Franco Battiato, Sergio Endrigo, Lucio Dalla, Vincenzo Russo, Carmen Consoli, Paolo Conte…. Non vedo l’ora di ascoltare il racconto del suo prossimo viaggio; possibilmente, in italiano. O in napoletano.
Antonio Catalano