MARCO BRACCI THE DARK SIDE OF THE MOON Viaggio nell’identità dei Pink Floyd Aereostella 2013 |
Non di rado nell’ambito del Rock hanno avuto luogo eventi discografici di macroscopica grandezza commerciale che, senza che gli artisti stessi se ne rendessero conto, hanno segnato un passo decisivo verso una maturità ed una consapevolezza che sarebbero divenute Vette di Raffronto per le generazioni a venire.
Di quanto i Pink Floyd fossero consci di ciò che stavano inaugurando non sappiamo, anche se in realtà optiamo per un’Inconsapevolezza Estetica estemporanea, minimale e istintiva, tal quale accadde in LP pulsanti e non levigati di Jimi Hendrix, Janis Joplin, Doors, Cream e Frank Zappa, solo per riferirci a quei tempi.
Il Concept Album è conosciuto ai più per la forza di una musica concreta, per gli embrioni concettuali che avrebbero sopito una Filosofia di Maniera in nome di un’Immagine lisergica senza esatta direzione, visionaria nei frequenti spazi solistici, incostante nella qualità degli Assoli, nelle Categorie che il Suono Progressivo fuggiva in tutta sincerità per approdare in Opere prive di Fanfare e Rimpasti neopsichedelici, come accadeva nelle concertanti sinfonie degli ELP o dei primi King Crimson, rispetto ai quali il Senso Barocco della Variazione assumeva tratti più creativi, futuristici, “non sempre inquadrabili nella tipologia della forma-canzone, il cui punto di partenza era il richiamo a musiche “altre” rispetto al Rock”, jazz, blues o classica”(p.20)..
Marco Bracci, ricercatore e docente della facoltà di Sociologia della Comunicazione e dei Processi Culturali presso l’Università di Firenze, dedica 128 pagine all’analisi filologica della grande Metafora del rapporto fra Mondo Artistico e Mondo Umano che, 40 anni fa, vide il “Fluido Rosa” sostituire il fondatore Syd Barrett (genio maledetto e incompreso) con un chitarrista di flusso stilistico ben diverso come Dave Gilmour, assolutamente nuovo e d’occhieggiatura discreta e mitologica, Maestro o Non Maestro di un Immediato Futuro nel quale sarebbero cambiati gli orizzonti espressivi dall’Underground londinese ad un inaspettato confronto con l’identità di una Popular Music che toccava “temi di denuncia politica, spesso con accenni alla critica sociale”. L’invio psichedelico era del tutto evidente nel Simbolo della Front Cover, che frangeva la Luce del Prisma dando luogo a tratti di più colori, ad un Viaggio iniziatico intuito nella “frammentazione identitaria del gruppo”, in un’analisi che anni dopo “diverrà sempre più evidente, nella quale la dimensione individuale ed egotistica risulterà preminente e utile a Roger Waters per cercare risposte si suoi dilemmi intimi piuttosto che essere funzionale alla crescita umana e professionale dei Pink Floyd come collettivo artistico” (p-11), evidenziata dall’urgenza “di liberarsi dalla dimensione discografica e dalle ristrettezze espressive imposte dal Formato a 45 giri”(p.14).
L’album esponeva movenze tipiche di una sperimentazione “in realtà già assiduamente frequentate da band come quelle della scena di Canterbury, Soft Machine, Caravan e Gong” , che scorreva in “narrazioni più lunghe e più riflessive…in una Forma-Racconto sia musicale sia testuale” per insinuarsi in una Suite versatile che trasformava il Rock’n’Roll in Rock e basta, “dal Ballo alla Riflessione già operata dal Flower Power dei Jefferson Airplane e dai Grateful Dead e di una West Coast” che portava “ i giovani americani verso un’esperienza collettiva e forse anche verso la fine di un sogno poco verosimile e troppo illusorio, vale a dire alla tre giorni di Woodstock del 1969” (p.17).
In fondo non è sempre così? Ogni movimento artistico deve uscire dall’Aura e perdersi nelle Forme Sociali riconoscibili. I PF perdevano la propria Logica e lanciavano un proprio Mélos contro il Sistema: Apocalittici contro Integrati, per dirla alla Eco, funzioni e disfunzioni contro il ruolo di Consumo di dimensioni orchestrali dalle modalità Gentili e Manierate (Van Der Graaf Generator, Colosseum, Moody Blues), inventando Suites basate “sul superamento di confini spazio-temporali” che “le radio-pirata, libere da vincoli di mercato, potevano trasmettere per ore e ore senza interromperle per mandare in onda i Commercials, ampliando la platea di ascoltatori, sempre più affascinati da questa nuova tipologia di Popular Music” (pp.27-28). Il pubblico si trasformava così da destinatario ad interlocutore, partecipando attivamente ad una nuova forma d’Arte, non più semplice Entertaiment quanto piuttosto “Visione Utopica e Idealistica della Realtà”; Idealistica, certamente, ma quanto mai lontana da ogni suggestione e da ogni Sistema riferibile a Georg Wilhelm Hegel ed alla sua Filosofia della Totalità, sublimando la Libertà della Trascendenza nella critica che ne operarono Kierkegaard e Nietzsche, che nell’Eterno Ritorno intuì un Universo che nasce e rimuore, in base a cicli naturali fissati e necessari, ripetendo eternamente il Corso e rimanendo sempre se stesso. Quella combinazione di Finito ed Infinito che, a ben vedere, esisteva nel substrato psichico di una Performance che fu spinta cinetica ad un procedere incorporeo ed estensione verso Climi onirici dei quali, ancor oggi, non si può fare a meno: arie spirituali e cambiamenti esoterici leggeri e indeterminati, narrati con mitezza d’animo e misure temperate da un sensibile biografo che della Musica ha reso Visione Storica in un Saggio scorrevole e attento ai processi emotivi.
Fabrizio Ciccarelli