Fatoumata Diawara, Fenfo, Republic of Music 2018
Fatoumata Diawara, magnifica interprete della voce africana al suo secondo album Fenfo, bellissima danzatrice su qualunque palco abbia ascoltato i colori caldi dei suoi avvolgenti medio-alti: un mondo estatico e tribale di quel “blues prima del blues” codificato dal suo Mali e riletto in una World Music, in un Jazz raffinato e in un magnetico Soul-Funky che evoca l’Inizio degli Inizi, l’incanto e la naturalezza delle armonie e dei ritmi di Madre Africa.
Nata in Costa d’Avorio da genitori maliani, istinto indipendente e ribelle, Fatou è vissuta a Bamako, capitale del Mali, fino all’età di diciannove anni. Per evitare un matrimonio imposto, è fuggita in Francia e a Parigi ha incontrato la compagnia teatrale Royale De Luxe, con la quale ha girato il mondo divenendone, per le sue qualità vocali, artistiche e fisiche, vocalist statuaria, radiosa, elegante.
Dopo l’uscita del suo primo album “Fatou”(World Circuit 2011) grandi musicisti si sono accorti del suo talento, da Oumou Sangaré a Dee Dee Bridgewater, da Damon Albarn a Herbie Hancock, da Cheikh Lô a Roberto Fonseca e Paul McCartney, con i quali è stata protagonista a furor di popolo in numerosi tour internazionali.
Fatou in una parola: anima attuale dell’Afro Beat che traduce l’archetipo nero senza mai indulgere a ciò che sente innaturale . E siamo convinti che, se Fatou adottasse stilemi e inflessioni stilistiche occidentali, la sua presenza nelle radio e nelle televisioni sarebbe ben diversa, e non circoscritta solo a quel novero d’ascoltatori attenti a quanto accade nella Musica contemporanea (numero in ogni caso tutt’altro che esiguo).
Qualcuno avrà da discutere sulla natura del genere Afro Beat, ed i soliti professorini avranno da rivendicare violini, magneti chitarristici e loop elettronici come se il punto d’avvio degli stessi fosse stato nei Registri per le Invenzioni e negli Uffici Brevetti. La verità della Storia dice diversamente, e se non ci fosse stato l’Inizio di Madre Africa non ci sarebbe stata alcuna evoluzione Blues, Rock e Jazz, come Fatou ampiamente dimostra in questa intensa performance (in verità non la migliore delle sue ma certamente una grande prova d’artista).
Madre dell’Afro Beat è stata certamente la grande Miriam Makeba, e Fatoumata ne è figlia preziosa, cantautrice fiera con gli occhi attenti al futuro delle donne africane, appassionata interprete di una Musica antichissima che intende perfezionare con un’anima sempre viva nelle tenerezze, nelle malinconie e nelle semplici felicità tipicamente africane.
Fatou cantante, autrice, chitarrista e attrice consapevole della necessità di scalciare l’atroce violenza della Jihād quale scellerata “guerra santa” mai accennata dal Profeta nel Corano, poetessa di gioie semplici e di malinconie ancestrali in chiaroscuri sensuali, finissimi ed assorti in un’espressività familiare e naturale, come da sempre nel canto delle donne d’Africa.
Sidiki Diabate alla Kora (l’arpa-liuto dell'etnia mandinka del Ciad), Matthieu Chedid alla chitarra e all’organo, Vincent Segal al violoncello, Pascal Danae alle chitarre acustiche e elettriche, Etienne Mhappe al basso disegnano fra le percussioni tradizionali il Ritmo battente di Negue Negue, la suggestione melodica di Nterini, il blues potente e visionario di Kokoro e la mutevole leggerezza della ballad Fenfo.
L’ensemble scelto dall’artista maliana traccia l’Ipnosi di un Lirismo arcaico e bellissimo che spesso il commercio occidentale speluzza e spilucca perché un Afro Beat come quello di Fatou fa audience e soldi (peggio ancora se gravitante nelle pose manierate dei più noiosi radical chic) in un Occidente che, ignorandone scientemente ragioni politiche e motivazioni antropologiche e più che soddisfatto nella tasca, di fatto quasi sempre cancella la Storia delle Infamità nel Buio di questo Tempo grigio, Vampiro d’emozioni e d’onesta lettura delle Vicende dell’Umanità.
“Fenfo” nella lingua bambara del Mali è traducibile come "qualcosa da dire". Certamente molto e molto da dire, e non solo la bellezza e l’entusiasmo della Musica.
Fabrizio Ciccarelli