La quasi logica di stefano cazzato -bill gates e i tornei dell'intelletto(giuseppe cappello)

Bill Gates e i «tornei dell’intelletto»

Una lettura del libro La quasi logica di Stefano Cazzato

Ladolfi Editore 2020  pp. 240   € 15.00

 

Che cos’è la filosofia? Molti oggi se lo chiedono, e non solo fra le persone che non siano addette ai lavori. In una società in cui la scienza sembra poter ormai rispondere a ogni interrogativo e, attraverso la tecnica, ad ogni richiesta del genere umano, anche gli stessi filosofi possiamo dire essere entrati in una sorta di crisi d’identità. E’ questo un fatto storico e un fatto di cronaca: non vi è infatti dubbio che la filosofia, da Cartesio fino al Novecento, si sia sempre di più schiacciata sull’orizzonte della scienza; per indagarne criticamente i fondamenti epistemologici quando è stata una grande filosofia o pure solo per appiattirsi su di essa in una sorta di kenosi del pensiero qualora si vogliano nobilitare con una parola biblica le più improvvide disavventure del neopositivismo del secolo scorso; disavventure che, dalla storia alla cronaca, hanno fatto sì che un uomo in cui Hegel avrebbe visto l’individuo cosmico-storico del nostro tempo, quello che di questo nostro tempo sia il titolare legittimo della parola, Bill Gates, abbia potuto candidamente dire «i filosofi? A cosa servono oggi i filosofi?». È questo il modo che in fondo risponde più direttamente oggi all’interrogativo su cosa sia la filosofia. Ed è allora per questo che il libro di Stefano Cazzato giunge bene a punto in questo 2020 in cui in fondo anche le più alte specializzazioni scientifiche hanno mostrato insieme alla loro benemerita efficacia anche i loro limiti. Soprattutto, in cui la stessa comunità scientifica ha mostrato come nel suo campo non vi sia la regola della logica apodittica ma della «quasi logica».

Il lavoro di Cazzato prende le sue mosse, il titolo e lo spirito proprio di qui. Da quelli che sono i due modi che la stessa filosofia ha pensato, fin da Parmenide, come le vie attraverso cui si debba costruire il sapere. La via della dimostrazione e la via dell’argomemtazione. La via del sapere logico apodittico dell’episteme, della scienza, e la via, sarà bene scriverlo al plurale, delle doxai, delle opinioni. O ancora meglio: la via in cui l’accordo (omologhia) teoretico, pratico e comunicativo fra gli uomini si costituisce sulla verità (aletheia); o la via in cui è invece la verità (aletheia) a costituirsi dinamicamente sull’accordo (omologhia) teoretico, pratico e comunicativo fra gli uomini. Questa tensione filosofica, come hanno dimostrato prima Guido Calogero e poi Gabriele Giannantoni, c’è già tutta nello spirito della crisi del socratismo platonico. Ed è su questo nodo focale, che ha poi la sua ricaduta sui rapporti fra gli uomini, che il libro di Stefano Cazzato stringe sempre di più l’attenzione nel momento stesso in cui i suoi discorsi si propagano fra una grande mobilitazione della letteratura filosofica ma anche dell’intarsio fluido e complesso in cui sempre di più si va costituendo oggi il sapere. E così come la filosofia ha il compito di distinguere fra la scienza e lo scientismo, l’autore, sempre dentro la prospettiva della filosofia, si prende in carico di distinguere fra la retorica e l’eristica.

Come si può travisare il senso di una scienza che degrada nel dogmatismo dello scientismo così - è la prospettiva che sta al fondo di questo prezioso libro - si può prendere perdere il discernimento schiacciando la retorica sul nichilismo dell’eristica e della demagogia. Le ricadute pratiche e comunicative di questi fraintendimenti le vediamo oggi all’opera nella politica e sulla stessa questione specifica del Covid. Abbiamo visto che dove non si accenda il lume della ragione si può cadere in una visione tecnocratica dell’Europa e, di contro, in una totalmente demagogica; così come stiamo vedendo che, di fronte ai negazionismi demagogici e nichilistici sulla diffusione del Covid, la comunità scientifica è lontana da una verità assoluta che la possa garantire e ci possa garantire in maniera apodittica.

La sapienza umana (anthopine sophia) è sempre limitata e ha bisogno di dialogo; sennonché il dialogo, lungi da un edificante buonismo intersoggettivo e comunicativo, è «torneo dell’intelletto»; e in questo torneo dell’intelletto la retorica ha una rilevanza tutt’altro che secondaria. Cazzato ci rimanda, in questo studio, a una tradizione che va da Cicerone a Perelmann e, con loro,  a un agonismo che non prescinda dalla correttezza cosi come da una correttezza che possa altresì prescindere dal’agonismo. Nella libertà del dire, e del ricercare insieme una verità che definisce ma non finisce, la con-versazione e la con-tro-versia sono insidenti l’una all’altra. In una dinamica che, per citare uno dei numerosi richiami ai testi presenti in questo libro, va al cuore della stessa specificità della filosofia nelle parole di Friedrich Waismann lì dove egli scrive: «la differenza essenziale fra filosofia e logica è che la logica ci incatena mentre la filosofia ci rende liberi; in una discussione filosofica noi siamo condotti passo passo a mutare la nostra prospettiva, per esempio a passare a un modo di porre un problema a un altro e ciò con il nostro consenso spontaneo; e questa è una cosa ben diversa dal dedurre teoremi da un dato insieme di premesse»; sempre per stare alla ricchezza di letture che questo libro contiene e ci ripropone utilmente e gradevolmente, la specificità retorica dell’essere umano dall’avanzamento logico dell’intelligenza artificiale viene così ben messa a fuoco attraverso un passo di Gregory Vlastos lì dove l’importante studioso del pensiero antico afferma che l’argomentazione socratica: «non è un computer in grado di controllare con accuratezza meccanica la coerenza di intricati insiemi di convinzioni i morali. È un’attività umana, una situazione complessa il cui esito è drasticamente influenzato dall’abilità e dalla personalità degli interlocutori». Questa abilità, pur anche nella crisi del socratismo e nella ricerca di un sapere epistemico sottratto al mondo del divenire, dovette essere sempre stata ben presente allo stesso Platone lì dove parlando di una iperuranica «pianura della verità», nel Fedro, compie, all’interno dello stesso dialogo, una fondamentale rivalutazione proprio della retorica ovvero dell’arte del «perfetto competitore». Lì dove il competitore è appunto, fra controversia e conversazione, cum-petitore ovvero colui che con/con-tro gli altri chiede. Questa tensione dello stesso Platone fra ciò che da Francesco Adorno è stata individuata come l’alternativa fra una retorica demagogica e una retorica psicagogica ci rimanda, a quanto Cazzato richiama sul tratteggiamento del retore che Cicerone fa fare ad Antonio lì dove egli dice: «da un oratore si devono pretendere la sottigliezza del dialettico, il pensiero del filosofo, il lessico quasi del poeta, la memoria del giureconsulto, la voce del tragedo, il gestire quasi dell’attore consumato»; in fondo, leggendo attraverso la filigrana della società romana, non sono i tratti con cui Alcibiade tratteggia il famoso elogio di Socrate proprio nel Simposio di Platone? Sicuramente, di tutto ciò che Cicerone indica nel profilo del retore, il libro di Cazzato analizza con molti esplorazioni puntuali sulle questioni antiche e contemporanee anche i dettagli procedurali. Perché appunto la retorica stia bene ferma fra la parola e la verità; possa essere il centro dei fluidi rapporti dell’intersoggettività fra incontro e pure scontro. Lì, insomma, dove la legge della parola sovrascriva la stessa legge della realtà così come viene pensata in un mirabile frammento dove Eraclito scrive: «l’opposto concorde e dai discordi bellissima armonia». In fondo crediamo che sia questa la cifra della libertà che è sottesa sia all’attività razionale sia a quella politica dell’uomo della «quasi logica».

E La quasi logica di Stefano Cazzato, nella gemmazione poligerminale delle sue pagine, questa gemmazione irriducibile che è l’uomo si incarica sapientemente di difendere quando egli sia attaccato puranche dagli individui cosmico-storici … troppo cosmici e troppo storici per mantenere quella venatura di eternità che solo la filosofia guadagna ai mortali nei loro «tornei dell’intelletto». 

Giuseppe Cappello

 http://www.giuseppecappello.it/

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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