Giovanni Allevi
Love
Bizart/Sony Music 2015
Com’è giusto che sia, ognuno suona ciò che crede e che reputa importante per descrivere se stesso; altrettanto giusto è che chi ascolta abbia la possibilità di dimettersi da uditore.
La cifra melodica e melodiosa di Giovanni Allevi attraversa sospiri e sorrisi, parsimoniose vedute di volatile batticuore, trovando una sua certa compiutezza nell’odore di un retroterra culturale certamente importante e affascinante che, leggendo Bach e Listz e Chopin un po’ troppo da lontano, ne interpreta le “voci” pianistiche più emotive secondo un largo uso di Andanti Maestosi, di Allegretti e di forti pressioni sulla tastiera, quasi ad amplificare, nel gesto, una sfera palpitante densa di adamantini orpelli, che appunto orpelli restano.
Il suo ultimo lavoro si chiama “Love”, titolo non proprio originale che evoca suggestioni postdannunziane e democratiche geografie dell’anima tanto, tanto gradite a chi è di buon cuore ma di palato scortese: Allevi è tecnicamente molto bravo e sa cogliere ogni semiologico Orizzonte d’Attesa, intuendo un Destinatario oscillante fra Malinconia e Desiderio di Serenità, amante di una Musica (pardon, musica) che attenda le intuizioni nell’incantesimo della Memoria, oppure che voglia comporre un “cesello emotivo” disegnato ad hoc, ma, ahinoi, sempre uguale a se stesso, tanto per non perdersi nei meandri della Speculazione eccessivamente astrattiva.
Questo “Amore” è un excursus ci auguriamo impersonale, che attraversa il nobile tema del Viaggio Interiore secondo modelli romantici (“Yuzen”), cantabili in forma di “disperazione del desiderio” (“Loving You”), sonatine nelle quali variare da Mozart a Beethoven (“Amor sacro”).
Questo “Amore” è tutto nelle alchimie degli ineffabili virtuosismi raveliani di “Asteroid 111561”( visto che alcuni astrofisici probabilmente audiolesi hanno dedicato all’ascolano Maestro Cavaliere della Repubblica – e altro non si dica - un corpo celeste scoperto nel 2002… Va bene, abbiamo sentito pure questa…), finendo, con pur nostra sottile gioia, nelle Blue Notes, quando si “jazzeggia” alla Keith Jarrett in un pericoloso Hapax discografico che potrà sorprendere gli acquirenti dell’album (“It Doesn’t Work”).
In ogni caso, nel timore gli ammiratori si possano smarrire, il pianista riserba esplorazioni New Age per il Finale (“Asian eyes” e “L’albatros”, per sua ammissione ispirato, proprio non sappiamo come, dalle quartine di Baudelaire ne “I fiori del male”), a perfetta riprova di come egli sappia descrivere la Nouvelle Vague contemporanea nella sintesi della Cover con la graziosa mossa a “cuoricino” così cara a molti calciatorini e a molti canzonettisti, per trarne gli auspici di tastiera in Forma di Piacevolezza (forse) e di acuta (forse) sagacia comunicativa.
Cosa significhi la musica di Giovanni Allevi è materia per massmediologi, sociologi e antropologi.
Dunque noi, che di Musica intendiamo scrivere, dobbiamo astenerci da ulteriori considerazioni.
Buon ascolto ai sordi.
Fabrizio Ciccarelli
Giovanni Allevi- pianoforte
- Yuzen
- Loving You
- Amor Sacro
- Asteroid 111561
- The Other Side of Me
- La stanza dei giochi
- It Doesn’t Work
- Lovers
- My Family
- Asian Eyes
- Come with Me
- Sweetie Pie
- L’albatros