Fausto Ferraiuolo Trio, Il Dono, Abeat 2019
Quando parliamo di jazz, di quel jazz venato di blues, di esuberanza emotiva, di cultura novecentesca, di raffinatezze esecutive generose che si integrano perfettamente nel suono di un trio, pensiamo quasi sempre all’energia di un vulcano in piena attività, dimenticando che nel jazz moderno confluiscono tali e tante prolusioni filosofiche che rendono le blue notes smaglianti e inusuali pagine di letteratura musicale che hanno generato dimensioni, illuminazioni, ascese esecutive che scriveranno la Storia dell’arte di questo secolo.
Il Dono del Ferraiuolo Trio è un album che s’insinua con raffinatezza in questa monolitica estetica con solidi impianti compositivi e interessanti fatture strumentali che girano per le diverse sfumature coloristiche e ritmiche del jazz ed evocano magnifiche presenze ad memoriam (chi ama il piano le riconoscerà all’istante) che procurano all’artista – a nostro avviso – un’ etichetta di musicista caldo e concentrato certamente sugli aspetti tecnici ma soprattutto sul feeling del senso profondo del brano, senza alcuna limitazione stilistica e con una tensione poetica che talora abbaglia (Fire Island) talora oscura nelle riflessioni elegiache (Three), donando – qualunque sia il senso del meditato “dono” del Ferraiuolo, di cui non ci sentiamo autorizzati a parlare, nel caso sarà lui – atmosfere brumose (Rue de la Vega e O Impro mio), piacevoli song gershwiniane (Somebody’s loves me), semìe traditional (Astavo Blues e una Baires dal sapore di chi sa guardare il cielo) quanto mai insite nel suo amore per l’argomentazione del fraseggio, degli ornamenti e delle variazioni melodiche ben condivise con una ritmica eccellente, Aldo Vigorito al contrabbasso e Jeff Ballard alla batteria (e qui, ogni commento è davvero inutile).
Non occorre esser geni per capire quanto Ferraiuolo adori il suo piano e nel suo comporre d’autobiografico sappia narrare, come in Even the Score, anche oltre il necessario (“La vita si può capire solo all’indietro, ma si vive avanti”, come intuiva Søren Kierkegaard).
Ci vuole molto ma necessita poco per parlare di un album come si deve, di un jazz davvero da elogiare, spirituale, policromo e colto, che muove l’anima abbandonandosi stringendo fra le braccia Monk, Bley, Ellington, Evans, Petrucciani.
Diciamolo fra noi: tutto cambia quando si conquista la propria anima.
Fabrizio Ciccarelli
Fausto Ferraiuolo- Piano, Comp (except 11 by George Gershwin)
Aldo Vigorito- Contrabbasso, Comp (4 e 10)
Jeff Ballard – Batteria, Comp (4 e10)
- Fire Island
- Three
- Rue De La Vega
- O Impro Mio
- 4 Septembre
- Astavo Blues
- C’Est Tout
- Baires
- Even The Score
- Improtune
- Somebody Loves Me