Marco Castelli, Space Age, Caligola Records 2022
Album eclettici di questi tempi se ne vedono pochi, forse perché molti musicisti ritengono d’aver trovato il loro mood univoco e immutabile, ma la Variatio è e rimane uno dei tratti distintivi delle Blue Notes, come insegnano a buona ragione e da sempre i Maestri del jazz.
Certamente questa storica peculiarità non manca nell’ultimo album del sassofonista Marco Castelli, tanto che Space Age appare, fin dall’inizio, un collage di melodie provenienti dai più diversi contesti, i quali, se talora prepotenti ed ambiziosi, osservano e sviluppano un plateau adeguato per la forza strumentale, roca, tesa, emotiva, graffiante, del tenore e del soprano di Castelli, facilmente accostabile alla tipica abrasività felina ed al vigore creativo del carattere informale del grande Gato Barbieri.
Il sassofonista veneziano compone cinque dei nove brani dell’album, per ognuno dei quali sarebbe corretto dire a parte (noi scegliamo istintivamente le semìe latin e hard bop di Space Age e l’atmosfera tanguera di Zanzibar) incuriositi dalla lettura di reggae di Morrò, ma prima in grazia dal “Ballo in maschera” di Giuseppe Verdi (ma cos’è venuto in mente al Castelli? Un quasi Ska evoluto in semi-free…), l’eccentrica ed intelligente blasfemia afro di Tu vuo’ fa’ l’americano di Renato Carosone, la tensione da Capetown dell’African Marketplace dell’ingegnosa guida del piano africano Abdullah Ibrahim ( il caposcuola Dollar Brand) e, soprattutto, la lirica sublime di uno degli evergreen più lirici e indimenticabili del jazz, In a sentimental mood di Duke Ellington, declinato con garbo e agilità dall’Hammond del bravo Matteo Alfonso e dalla leggerezza del drumming di Marco Vattovani .
Space Ages è un album per intenditori, per chi ama atmosfere di tenace espressività e prestante gagliardia dettata da un talento poliedrico e flessibile.
Fabrizio Ciccarelli
Marco Castelli- Tenor and soprano sax
Matteo Alfonso- Hammond organ
Marco Vattovani- Drums, Percussion