Ellington at Newport, vinile Columbia Records 1956
Parlare di Duke Ellington è parlare della musica del Novecento, del jazz e dei fenomeni di costume tra anni 30 e anni 70. Pochissimi concerti nella storia delle blue notes hanno suscitato tanto entusiasmo come Ellington at Newport, una performance del 1956 quando, a be bop imperante, erano poche le big bands a resistere all’esaltante scoperta di Charlie Parker.
Il fatto decisivo era che Ellington incarnava la figura di un direttore d’orchesta/arrangiatore/pianista che (ammettiamolo) finalmente rinasceva artisticamente dopo un periodo di stasi creativa (certo, accade a tutti i musicisti, anche i più grandi) che coincise col discutibile contratto con la Capitol Records, considerando anche che si stava affermando il Rock’n’Roll, dirigendo gli acquisti e le serate delle radio commerciali, e che, in verità, il gusto del pubblico stava scemando, attratto più dal ballonzolamento di Elvis, Bill Haley and His Comets, Bo Diddley o Chuck Berry (nulla di male, il popolo aveva necessità di distrazione dopo la seconda guerra mondiale e durante la Guerra Fredda).
In molti ritenevano che il momento clou del Duke fosse ormai passato (l’affermò persino Charles Mingus, comunque proiettato in un jazz più cerebrale e futuristico, il Free, e che Free!) ma l’idea del Duke non era semplicemente sterile routine, come dimostra l’eccezionale bellezza esecutiva della sua prodigiosa band, gli impasti sonori caldi ed eleganti, le armonie flessuose della sezione fiati, eccitate dal celeberrimo assolo di Paul Gonsalves in Diminuendo e Crescendo in Blue che raggiunse apici d’intensità raramente uditi in precedenza, dalla spontanea “negritudine” dell’ebbra Festival Junction, con punte di diamante di Johnny Hodges al sax alto, Quentin Jackson al trombone e Ray Nance alla tromba.
Un incredibile entusiasmo, ancorché caotico e mal reso dagli scadenti microfoni della Columbia, toglie ben poco a quel concerto – per dovere d’informazione rifatto in studio con tanto di orrendi applausi finti – che è divenuto l’album più venduto di Ellington, grazie alla saggezza del produttore Phil Schaap che entrò in possesso del nastro inciso dalla Stazione Radio VOA che restaurò sincronizzando il vecchio Live con quello ritrovato, ottenendo un brillante frottage stereofonico che sembra portare direttamente sul palco.
Molte sono le leggende intorno a questo album, e sinceramente non sappiamo dire quali credibili o quali inventate. In ogni caso non possiamo non dire di tratti di un capolavoro tanto d’intelligenza quanto di emotività, swing ineguaglile e briosa cultura del grandissimo pianista in prodigiosa simbiosi estetica con l’espansone innovativa delle sue partiture e dei suoi eccellenti sezionisti, senza seguir mode e moderati birilocchi accademici e commerciali.
Disco imperdibile. Cinque stelle.
Fabrizio Ciccarelli
Duke Ellington - piano
Harry Carney - Sax Baritono
John Willie Cook - tromba
Paul Gonsalves - Sax Tenore
Jimmy Grissom - voce
Jimmy Hamilton - Sax Tenore
Johnny Hodges - Sax Alto
Quentin Jackson - trombone
William "Cat" Anderson - tromba
Ray Nance - voce
Willis R. Nance - tromba
Russell Procope - Sax Alto
John Sanders - trombone
Clark Terry - tromba
James Woode - contrabbasso
Britt Woodman - trombone
Sam Woodyard – batteria
Lato A
Festival Junction - 10:08
Blues to Be There - 8:04
Newport Up - 5:33
Lato B
Jeep's Blues - 5:12
Diminuendo and Crescendo in Blue - 14:56
PS: informiamo i lettori che esiste una versione in cd con 21 tracks nel primo cd e 19 nel secondo, ma il vinile è sempre il non plus ultra….