Robert Wyatt - Rock Bottom – Virgin 1974, vinile 2022
Dopo l’esperienza con i Soft Machine, con cui ha inciso uno dei più grandi album della storia del progressive rock, Third, il batterista Robert Wyatt si mette in proprio. Comincia così a scrivere dei brani, alcuni composti a Venezia nell’inverno del 1972 con una tastierina regalata dalla fidanzata Alfreda Benge, che si trovava lì per girare un film. Il soggiorno in Italia gli permette di raccogliere alcune idee, che potranno servire come materiale da suonare con la band successiva ai Soft Machine, i Matching Mole (da notare la sottigliezza nella pronuncia che ricorda il francese “machine molle”, ovvero “macchina morbida”, “soft machine”!), prossimi ad una reunion.
Tornato a Londra, la sera precedente la prima prova con il gruppo, Robert Wyatt partecipa ad una festa, in cui ha bevuto una grande quantità di alcol, tanto che ad un certo punto, perdendo l’equilibrio, cade dal terzo piano del palazzo spezzandosi la spina dorsale. Lo stesso alcol che ha compromesso per sempre la sua vita (ironia della sorte) gliel’ha salvata: “Doveva essere proprio ubriaco per rimanere così rilassato mentre cadeva dal terzo piano” dirà il suo medico. Se avesse teso il corpo per la paura, probabilmente sarebbe morto, invece sopravvive, rimanendo paralizzato per sempre. Nel lungo soggiorno in ospedale, si inscena non solo il dramma della paralisi, ma anche quello di un uomo che si immerge nelle sue paure e che cerca, con tutto se stesso, di ritornare a galla dopo aver toccato il fondo. Da ciò il senso del titolo del suo capolavoro: Rock Bottom.
Dapprima una superficie limpida e brillante: le prime note di Sea Song sono pacate e sognanti, di una nostalgia indefinita, che evoca un’armonia dai colori mediterranei. Solo pochi secondi, il tempo di piombare nel vuoto, tuffarsi, prima di sprofondare nel mare della memoria e dell’esperienza. Una drammatica e rassegnata saggezza prende possesso di uno spirito giocoso e dadaista e tutto precipita inesorabilmente: la sua vita, l’umanità, l’intero Universo crolla davanti al suo sguardo dolente. Poche ed efficaci note di pianoforte, su un tappeto ondulante, che pulsano di una sapienza amara e intensamente lucida.
Wyatt, in ospedale, imparò a pensare attraverso la musica, quasi a vederla uscire fuori dai disgraziati come lui, con i quali si venne a creare una forte amicizia. Nel dramma. una nuova libertà di relazionarsi con la musica, dipesa dall’impossibilità di suonare la batteria, sancirà la fortuna artistica di Rock Bottom, un album pensato solo per essere registrato. Ideato per una formazione non definita vede la partecipazione di Hopper e Richard Sinclair al basso, Gary Windo al clarinetto, Mongezi Feza alla tromba, Mike Oldfield alla chitarra, Fred Frith alla viola, Ivor Cutler alla concertina e Nick Mason nel ruolo di produttore. Grandi musicisti che si cimentano in un’esperienza musicale inedita ed assoluta (è praticamente l’intera scena canterburiana che rende omaggio a Robert Wyatt).
La splendida litania di Sea Song così procede, dopo le strofe cantate, fondendo la free-form del jazz con il progressive rock in un gorgo di improvvisazioni di tastiere e vocalizzi che glorificano il semplice atto del respiro, l’espressione pura dell’essere vivi. Le prime due suite (Sea Song, dunque, e A Last Straw) hanno un andamento cerimoniale: i movimenti sono quelli di un uomo indebolito dalla paura che, con affanno, nuota in quel luogo interiore ricco di arcani e di figure indistinguibili, che è l’Io. Il prima si dissolve in uno sfocato ricordo e il presente pesante come la sabbia dei fondali seppellisce, con impietosa brutalità, un’anima rantolante. Le suppliche intonate sono gemiti, frasi sconnesse che aspirano alle altissime mete dell’ignoto, ma non ottengono ciò che chiedono: a dominare è il buio, l’abisso. Uno spaventoso tappeto di synth chiude i fraseggi paranoidi dei fiati di Little Red Riding Hood Hit The Road. È un’insormontabile inquietudine che spegne il fiato, blocca il respiro, ma non per sempre.
L’uomo precipita in se stesso. Si perde più volte. Ma subisce un’ambigua metamorfosi di vita e di morte, riconoscendosi in un animale; un animale insignificante: un pidocchio, un topo, a water mole (una talpa d’acqua). Wyatt con fatica (con l’affanno che diventa una vera e propria sessione ritmica) tenta di scrollarsi di dosso l’orribile trauma e con la più naturale delle movenze cerca la vita, di nuovo. Perché c’è qualcuno che ha molto a cuore questo animale insignificante. La sua fonte di vita, la sua larder (dispensa): sua moglie Alfreda, che lui chiama Alife.
Il primo brano della B Side si apre con un dialogo tra basso e tastiera, scandito dal respiro di Wyatt, che lascia subito voce ad una magistrale esecuzione di chitarra che in quel flusso che vibra senza sosta dal primo brano, ci culla con note di sconfinata dolcezza. La talpa cerca la sua futura moglie. La cerca con un canto commosso. Il punto è che non la trova! Così quel tenero nomignolo diventa ora un disperato appiglio: il modo in cui Wyatt pronuncia, con tono dissociato, il verso “Alife my larder” è una dimostrazione di potente espressività. Ora in lui affiora il vuoto. Un incedere funereo di accordi dissonanti, suonati senza staccare le mani dalla tastiera.
Un trambusto di sentimenti confusi si accavallano l’uno sull’altro in una follia crescente, finché il sassofono di Gary Windo non si fa spazio, come se volesse dire qualcosa, ricordare qualcosa, ma non sa bene cosa. A far luce sarà proprio Alfreda con la sua vera voce. Con dei nomignoli scherzosi lo scuote. Gli intima di non essere la sua “larder”, ma la sua “guarder”, la sua guardiana. È lei che lo tiene vivo. È Alfreda che custodisce Rock Bottom.
Il co-testo dell’album potrebbe dunque essere una storia d’amore, che con le sue difficoltà trova un lieto fine. I due si sposano durante le registrazioni dell’album, coronando non solo una relazione amorosa ma anche un sodalizio artistico: la maggior parte degli album di Wyatt avrà come copertine i quadri della Bange.
L’artista ritrova la sua dignità. Il risveglio è animato, ma lo sguardo rimane lucido su un paesaggio desolato, da fine del mondo. Little Robin Hood Hit The Road è un ultimo esaltato tripudio di confusione, di celebrazione del caos cosmico, con un andamento marziale e una incisiva ed elastica linea di basso che conduce ad un solenne assolo di chitarra. “Nel giardino d’Inghilterra le talpe morte giacciono dentro le proprie tane. I tunnel senza uscita si sfaldano nella pioggia, sotto i piedi. Non è una vergogna?”. Il senso delle parole della musica di Wyatt è sfuggente, la priorità è considerare la parola come mera materia sonora. Tuttavia è chiaro come la sua filosofia possa ricondursi a questo animale. Un animale che vive nel buio, rintanato dall’esterno. Un animale inutile, che addirittura andrebbe ucciso in quanto, scavando il terreno, è un sovversivo.
Il mantra ripetuto di Wyatt, spinto dalle onde del caos, sotto le note strazianti di Oldfield, porta l’artista ad una rinnovata pace dell’Io, lasciato troppo a lungo nei fondali. Una viola melodica e ripetitiva, da brividi, accompagna un siparietto brechtiano recitato da Ivon Cutler, che nell’album suona la concertina. A parlare è ancora una volta una talpa che “riflette sulla vita dell’uomo delle autostrade”. Un no-sense a mio parere solo apparente. Ma non è necessario dare altre spiegazioni. Una risata infantile, forse folle, forse felice di essere di nuovo a casa chiude l’opera, lasciando l’ascoltatore compiaciuto del silenzio che ne segue.
Da grande artista, Robert Wyatt in Rock Bottom mette in scena non solo il suo caos, non solo il suo dolore, ma quello di everyman (per dirla con parole da critica dantesca). Ogni uomo può godere della testimonianza di un’artista che ha visitato lo sconosciuto profonfo dell’anima umana.
Paolo Vaglieco
Testi e musiche di Robert Wyatt.
Lato A
- Sea Song– 6:31
- A Last Straw– 5:46
- Little Red Riding Hood Hit the Road– 7:40
Lato B
- Alifib– 6:55
- Alifie– 6:31
- Little Red Robin Hood Hit the Road– 6:08
-
Robert Wyatt – vocals, keyboards, percussion, slide guitar (2), James' drum (1, 3, 5), Delfina's wineglass (2), Delfina's tray and a small battery (3)
Mike Oldfield – electric guitar (6)
Gary Windo – bass clarinet, tenor saxophone (5)
Ivor Cutler – voice (3, 6), baritone concertina, harmonium (6)
Alfreda Benge – voice (5)
Mongezi Feza – trumpets (3)
Fred Frith – viola (6)
Hugh Hopper – bass guitar (2, 4, 5)
Richard Sinclair – bass guitar (1, 3,6)
Laurie Allan – drums (2, 6)
Già in Music Magazine anno VI n.21 (Dic.2021)