Miles Davis Quintet, Live in Milan 1964, dvd Impro-Jazz 2022
Nel suo noto tour europeo Miles Davis si fermò a Milano l’11 ottobre, invitato e coccolato dai nostri maggiori jazzofili (nomi che hanno dato un patrimonio di conoscenze straordinario, testimoni di quegli anni felicissimi per le Blue Notes) per una serata destinata ad un pubblico molto ristretto sia perché il jazz lo frequentavano in pochi sia perché di Davis non si dicevano sempre cose belle in quanto il suo Cool, il suo Post Bop se preferite, veniva considerato non di rado un’eresia rispetto alla musica suonata dai padri fondatori: Parker, Ellington, Basie, Hawkins, Young, Armstrong e via dicendo. Chi andò a quel concerto (abbiamo letto e udito testimonianze autentiche) si divise in due fazioni che avrebbero polemizzato per decenni: ovviamente quelli che si entusiasmarono per la performance erano la minoranza. E noi, ci fossimo stati, saremmo stati da quella parte.
Il sordinato di Davis è stupendo, i suoi arrangiamenti sono profondi per intensità e tecnicamente perfetti, i suoi soli tanto essenziali quanto innovativi dal lato armonico, l’interplay con i quattro è costruito con grande raffinatezza, il carisma da band leader è enorme, il suo Quintetto è quanto di meglio si possa ascoltare nei dischi incisi nel decennio 60, nomi giovani di cui Miles aveva come sempre intuito le potenzialità e la solidissima preparazione, le convinzioni estetiche e la naturale disposizione a suonare secondo la medesima sintassi del severo (spesso severissimo) leader.
Miles aveva scelto Wayne Shorter al sax tenore, Herbie Hancock al pianoforte, Ron Carter al contrabbasso e Tony Williams alla batteria: un quintetto che curerà per parecchio tempo, smilzi giovanotti che faranno la storia del Post Bop, neanche a dirlo.
La particolarità degli arrangiamenti di Davis era nel cogliere il senso del pentagramma per elaborarlo a modo suo, rendendolo a volte quasi irriconoscibile, al senso uditivo quasi un altro brano modellato in modo completamente nuovo; e questa sarà una caratteristica di ciò cui egli metterà mano fino alle sue ultime incisioni ed i suoi ultimi concerti.
Questo è il caso delle entrata in scena con un Autumn Leaves del tutto elaborato non come song ma come walking cool da mise en place di 15 minuti per un’improvvisazione in puro stile Davis, giocata su escursioni dinamiche apparentemente distaccate emotivamente, lasciate alla controllata inventiva delle intere ottave a disposizione di Wayne Shorter con strattonamenti a cavallo del Free e dell’impeccabile swing di Hancock.
Poi, come nel disco RLR Records rimasterizzato nel 2007, My Funny Valentine, forse la ballad più amata da Miles, evocata nelle sequenze breve-lungo-breve ed ancora breve-lungo-breve (per capirci) tipiche del suo stile essenzialmente bruno prima della svolta elettrica, riprese da Shorter proprio quando Miles scompare nelle Quinte, noto atteggiamento per un carattere burrascoso, fondamentalmente antipatico ed alquanto aristocratico (quel che mai mancò a Davis fu l’autostima sino al narcisismo) per poi riapparire e concludere senza sordina in suono pieno.
All Blues a rubare lo stupore suscitato sinora: note sue, e si sente, colori verticali fra passione ed intelletto, caldi impasti accordiali, sovracuti di cui è Maestro, scodate e diminuite che sembrano sfiancarlo: ma, si sa, Miles non si è mai risparmiato, a costo di dilaniarsi le labbra ed azzerarsi la salivazione. Si riposa ai soli di Shorter e Hancock, sinapsi differenti, frazioni oblique d’un medesimo Sentire, cantabili riferibili agli studi classici dei cinque in azione (ma chissà perché mai questo Jazz l’abbiano chiamato Cool: freddo? Bah, mentalismi retorici per creare neologismi del tutto inutili e contraffatti da parte di musicologi da confinare all’intellettualismo più inutile).
Chiude Joshua Into The Theme, con la fluida empatia ellingtoniana di un serissimo Hancock e di un poderoso e visionario Shorter osservato a braccia conserte da un Davis che non aspetta altro che chiosare, chiuso in se stesso, in un breve assieme dalle speziature Hard Bop, “fredde” come il Sole a mezzogiorno.
Jazz da ascoltare e da vedere poiché, vedendo, l’intuizione passa a qualcos’altro di molto più importante, l’Irrealistico Improbabile dell’Impossibile della Musica, come sempre.
Fabrizio Ciccarelli
Trumpet – Miles Davis
Tenor Saxophone – Wayne Shorter
Piano – Herbie Hancock
Bass- Ron Carter
Drums – Tony Williams
- Autumn Leaves (Jacques Prévert, Joseph Kosma) 13:42
- My Funny Valentine (Richard Rodgers-Lorenz Hart) 12:01
- All Blues (Miles Davis) 13:40
- All Of You (Cole Porter) 10:38
- Joshua Into The Theme (Miles Davis, Victor Feldman) 9:11
Da ascoltare in: https://www.youtube.com/watch?v=fBoHkB92SU0