Lennie Tristano, Lennie Tristano, Atlantic 1960, vinile 2022
Da quando Charlie Parker rispose a chi reputava Lennie Tristano un “freddo” che si sbagliava, sottolineando anzi come egli fosse uno che di feeling e di swing ne aveva assai, in molti iniziarono a considerarlo quel gran pianista che molti critici considerano quale pietra miliare della fine del Jazz così come lo si intendeva nei prolifici anni 50 . A parte il fatto che nessuna forma di Jazz è mai finita, Lenny fu un grandissimo pianista, lontano dalla descrizione di musicista intellettuale maudit dal cuore glaciale, estraneo ad ogni emozione, come spesso si legge.
Credo che basti questa incisione per intuire l’anima di Tristano, intenso e idillico nel sentimento delle parti centrali dei brani, sempre dedicate a soli, trascinanti come quelli del suo maestro Bud Powell, costruiti secondo una Logica cantabile e chiaroscurale preceduta da corali schubertiani e da lirici andamenti contratti in una non intromissione fra Logos e Pathos, in un rifiuto di qualunque sentimentalismo scialbo, come dimostrano le sue inquiete esibizioni dal vivo, lontane da qualunque jazz fosse stato suonato fino ad allora, distante da ogni contraffazione mainstream; poiché Tristano non sarebbe mai stato un musicista da mainstream, del ”già suonato”, ma un innovatore nel suo particolare contrappunto, una nuova voce del Jazz così come lui, e lui solo, lo intendeva: né bop né cool ma un’Idea di purezza musicale che avrebbe condiviso con pochissimi, incidendo (che io ne sappia) solo sei album e partecipando raramente ad eventi live. Alcuni affermano che ciò accadde per la sua cecità, ma personalmente non credo fosse quella la reale ragione: Lenny aveva bisogno di credere in modo assoluto nei musicisti che sceglieva, un po’ come accade a Charlie Mingus e Bill Evans, altrimenti meglio rinchiudersi nella sua sala con Steinway tra Chiacago e New York pensando alle improvvisazioni, alle linee di basso, ai ritmi fluidi del proprio Spleen (come si evince dal disco “The New Tristano”, Atlantic 1962, una delle più intense incisioni per piano solo nella storia delle Blue Notes).
Spesso si ascoltano accordi senza chiedersi il perché della scelta, nel caso di Tristano credo sia corretto avvertire nel profondo l’azione dinamica sui medio-bassi (quando in quegli anni le improvvisazione per piano erano centrate sugli alti o sui medio-alti, come per la maggior parte delle volte ancor oggi accade): sonorità tendenti al cupo, alla riflessione, all’introspezione, all’inquietudine, la stessa che fu parte consistente della vita del pianista, scavato nel volto come nel sound crepuscolare, mosso sicuramente da una ricerca tecnica del tutto personale ma soprattutto da un’incessante descrizione di se stesso che fosse antispettacolare, legata alla sincerità di Charlie Parker e Lester Young, aspramente critica nei confronti delle produzioni discografiche di quegli anni. Le note hanno sempre un significato esistenziale, non difficile trovarlo in una delle migliori improvvisazioni del jazz: Requiem, che scrisse non appena venuto a conoscenza della morte di Parker, un prezioso esempio di originalità concettuale intesa su lunghe linee melodiche, intervalli inconsueti in un discorso Blue e forse unico nel Jazz, cercato in una sequenza libera per ambedue le mani, in qualche modo anticipatrice delle non-strutture del Free Jazz.
In questo album non c’è proprio nulla di distaccato, poiché la Poesia di Tristano suscita emozioni sospese di fronte al suo swing inquieto e impressionistico, agli andamenti segreti che dimostrano che per lui non c’era alcuna ellissi tra cuore ed intelletto, considerando entrambi estri fondamentali del Jazz (Line up). Rifiutare il sentimentalismo non significa rifiutare l’emozione (These foolish things e All the things you are), ed il controllo che Tristano sceglie è frutto di empatica e luminosa morbidezza, lontana ed ancora lontana da una malinconia d’accatto, esistenzialista semmai, cool nei diaframmi dell’impareggiabile improvvisazione per mano destra calibrata per il melanconico solismo di Lee Konitz e per il ragionato disegno ritmico di Gene Ramey al contrabbasso e Art Taylor alla batteria, come Tristano desiderava.
Le composizioni e gli arrangiamenti di Tristano, vale la pena ricordarlo, sono caratterizzati da strutture insolite ed impulsive, che verranno riprese strutturalmente da artisti a lui vicini per molti motivi quali Charles Mingus, Lee Konitz, Herbie Hancock e Bill Evans, cui aggiungiamo con le perplessità di dovere Joe Satriani, studente del docente Tristano (strano il mondo della musica: docenti di tal carisma per perfomers che avrebbe fatto tutt’altro).
Questa è una delle registrazioni che possiamo considerare tra le fondamentali del Jazz Moderno.
Fabrizio Ciccarelli
A1 .Line Up 3:33
A2. Requiem 4:51
A3 .Turkish Mambo 3:37
A4. East Thirty 4:32
A5.These Foolish 5:43
B1. You Go To My Head 5:19
B2.If I Had You 6:24
B3.Ghost Of A Chance 6:00
B4.All The ThingsYou Are 6:04
Alto Saxophone – Lee Konitz (tracce: A5 to B4)
Bass – Gene Ramey (tracce: A5 to B4), Peter Ind (tracce: A1, A4)
Drums – Art Taylor (tracce: A5 to B4), Jeff Morton (tracce: A1, A4)
Piano – Lennie Tristano
Tracks A1 to A4 rec. NYC, 1955
Tracks A5 to B4 rec. live in the Sing Song Room, Confucius Restaurant, NYC, summer 1955
Da ascoltare: https://www.youtube.com/watch?v=1c6WSs5Ye6k&list=RDEMptsvTMcxw4REbRNOW5AtCw&start_radio=1
https://www.youtube.com/watch?v=t6PkO4gWEf
https://www.youtube.com/watch?v=t6PkO4gWEf8