Miles Davis, Tutu, Warner Records 1986, vinile 2022
Se c’è un disco che ha cambiato la storia del jazz moderno quello è TUTU di Miles Davis, il Dark Magus che, uscito dal Cool e dalle mode West Coast, intuì quanto quelle atmosfere pacate e di piena concentrazione avrebbero potuto esser trasformate nelle sottigliezze armoniche e di orchestrazione delle varie parti strumentali in un perfetto equilibrio tra Passione e Ragione e nella piena spontaneità dei solisti che Davis intese porsi accanto, alla luce di quell’inesauribile desiderio di conoscenza che lo indusse a mutare continuamente la sua personalità musicale, pur conservando sempre intatta la propria individualità di solista e di cultore delle tessiture musicali più originali e mobili, ispirate a qualunque innovamento il mondo (musicale, ma anche politico) proponesse.
I Soli di Davis, assoluti protagonisti dell’album, si svolgono con straordinaria maturità stilistica, solo apparentemente distaccati dal contesto: del resto quando suonava pretendeva l’assoluta dedizione da parte degli strumentisti che aveva scelto con estrema cura, ed il suo notissimo suonare dando le spalle al pubblico possiamo consideralo come estensione di un atteggiamento leaderistico e psicologico piuttosto chiaro. Il suo in TUTU fu uno stile completamente nuovo, che avrebbe reso la sua lezione esempio inarrivabile per intere generazioni di jazzisti che, seguendo la sua filosofia, capirono come mettere da parte l’urlare free o jazz rock per farsi sentire, preferendo dar spazio ai colori piuttosto che a cascate spettacolari di note, come del resto accadde anche in “Kind of Blue” o “Miles Ahead”.
Alcuni dischi sono davvero indispensabili per capire di cosa si parla quando si parla di jazz, specie quando ci si trova di fronte alla gigantesca personalità di Miles Davis anche quando, paradossalmente, non si tratta di incisioni equilibrate dal punto di vista estetico: nell’album il Sound è talora strattonato e non di rado l’eccellente apporto della ritmica (e che ritmica!) per probabile scelta del “Principe degli Inferi” riesce ad evitarne la frantumazione in una coesione che sostiene sia l’asciutto lirismo del trombettista impegnato in alcuni dei suoi più memorabili interventi solistici ed in abrasive escursioni martellate dal travolgente funk dello splapping del basso fretless Fender di Marcus Miller, dalle percussioni di Paulinho Da Costa e dalla batteria di Omar Hakim.
Il titolo dell'album è un omaggio all'arcivescovo sudafricano Desmond Tutu. L'album uscì due anni dopo il conferimento del premio Nobel 1984 al reverendo anglicano, quando in Sudafrica l'Apartheid era ancora legge, solo a parole criticata dall’Occidente cosiddetto democratico mediante un approssimativo e farisaico embargo (potenza dell’oro e dei diamanti di Cape Town!). L'arcivescovo fece pervenire a Davis un messaggio di ringraziamento con il quale si felicitava per la sua attenzione alla causa, avendo perfettamente intuito la sincerità che animava la rabbia e la partecipazione di Davis contro uno degli abomini più osceni della storia dell’umanità.
Anticipato dagli eccellenti “Star people” dell’82, “Decoy” dell’83, “You’re under arrest” del 1984 e ispiratore di “Amandla” del 1989 e “Doo-Bop” del 1992, ultimo album di Davis, quando, per terminare l'album, il produttore di rappers e R & B Easy Mo Bee prese alcuni assoli di tromba di Miles ancora inediti (prendendoli da quelle che Davis chiamava le "Rubber Band Session"), costruendoci intorno delle tracce Hip Hop che sono ancora perfetta lezione di ibridazione jazz,TUTU avrebbe dovuto essere realizzato in collaborazione con Prince, ma l’Idea purtroppo non prese mai forma (benché alcune influenze dell'artista di Minneapolis si possano chiaramente sentire nell'album, e questa idea di Davis è intuibile nel titolo di Full Nelson: Roger Nelson, il vero nome del “folletto”). Grazie anche alle convinzioni jazzistiche di Marcus Miller, che suonò quasi tutti gli strumenti, scrisse gli arrangiamenti e funse da produttore, la strumentazione di TUTU è quasi completamente elettronica. Fa eccezione Backyard Ritual, che fu scritta, arrangiata, suonata e co-prodotta dal tastierista George Duke, calibro fondamentale dell’R & B e pioniere del Sintetizzatore con Frank Zappa, Chick Corea, John Scofield, Billy Cobham, George Benson, John McLaughlin, Stevie Wonder, e qui ci fermiamo.
Dell’eclettismo sempre lungimirante di Davis è segno anche Perfect Way, cover di un brano degli Scritti Politti, protagonisti della New Wave anni 80. [Curiosità: il loro nome deriva da una storpiatura fonetica degli “Scritti politici” di Antonio Gramsci, più per renderlo assonante col titolo del brano “Tutti Frutti” di Little Richard che non per consonanze ideologiche col filosofo libertario che, per ordine diretto di Mussolini, venne ridotto nel carcere ove morì nel 1937 per le squallide condizioni nelle quali fu costretto a sopravvivere nonostante le sue condizioni di salute da sempre estremamente malferme, trattato con crudeltà ed assoluta indifferenza da parte dei democratici vincitori della prima guerra mondiale, “democratici” neanche a parole….]
Torniamo all’album e proviamo a scegliere i brani più rappresentativi: Tutu senz’altro, leggenda assoluta del jazz funk, la brillantezza dei controtempi della ritmica, il tappeto sonoro metropolitano del synth di George Duke ed il perfetto inserimento delle singole note del solo di Davis in Perfect Way, la costruzione onirica di Tomaas in un Assieme dai toni misteriosi sempre ascendenti con un tema portante iterato in ogni variazione possibile ed un incipit condotto tra Free e Funk con una potenza d’emissione ed un’espressività ai limiti del pensare umano circa le armonie ed i cromatismi della sua tromba che chiamò “Moon and Stars” per la sua livrea, appositamente creta per lui dalla Martin Company nei colori intonati ad i suoi “costumi di scena” (in verità tanto di palco che di vita): blu, rosso (la più famosa) e nero, quest’ultima sepolta con Miles nel cimitero di Woodlawn nel Bronx. La storica tromba blu è stata battuta il 29 ottobre 2019 da Christie's a New York per la cifra di 275.000 dollari, tre volte la stima iniziale (intorno ai 70mila dollari): la "Martin Committee" in Si Bemolle Maggiore, modello T3460, della Martin Co., commissionata da Davis intorno al 1980, dopo un'accesa gara al rialzo è stata aggiudicata a Don Hicks, il proprietario del famoso “Blue Llama Jazz Club” di Ann Arbor, nel Michigan. Peccato sia stata venduta ad un privato: avrebbe meritato come oggetto d’arte moderna il Guggenheim o il Museum of Modern Art (il noto MOMA) di New York o, molto meglio, qualche Museo, ancora inesistente, dedicato ai più importanti musicisti di sempre: Miles Davis? Sì Miles Davis!
Fabrizio Ciccarelli
Miles Davis - tromba
Marcus Miller – basso e synth
Jason Miles - programmazione sintetizzatori
Paulinho da Costa - percussioni
Adam Holzman - synth
Steve Reid - percussioni
George Duke - synth
Omar Hakim - percussioni e batteria in Tomaas
Bernard Wright - sintetizzatori aggiuntivi in Tomaas e Don't Lose Your Mind
Michał Urbaniak - violino elettrico in Don't Lose Your Mind
Jabali Billy Hart - batteria, bongo
Tutu – 5:16
Tomaas – 5:38
Portia – 6:19
Splatch – 4:47
Backyard ritual – 4:49
Perfect way – 4:35
Don't lose your mind – 5:50
Full Nelson – 5:06
L’ album è qui: https://www.youtube.com/watch?v=0Jnqz62d9oM&list=PLROeMLXl5EWBLSz3bfYmrKWtJ3outdB4A