VERDI AL BIVIO

La forza del destino, Teatro alla Scala, Milano,7 dicembre 2024 

Molto impegnativo, e gravido di conseguenze, il titolo scelto dal Teatro alla Scala come Inaugurazione della Stagione 2024/2025. 

Prequel Storico: dopo il consolidamento definitivo del successo con la “Trilogia Popolare” (Rigoletto/Trovatore/Traviata), il compositore, forse anche infastidito dal clichè che pure gli garantisce grande fama, tenta nuove strade. 

Senza annoiare il lettore, mi limito a constatare che queste nuove creazioni, di cui il compositore in primis è insoddisfatto, sono, a livello musicale, opere con una tensione emotiva, a essere garbati, intermittente, spesso latente. 

In misura diversa vale tanto per il “Simon Boccanegra” quanto per “Un ballo in maschera” (funestato da soffocanti problemi di censura, in aggiunta a quelli musicali), quanto per “La Forza del Destino”, che in origine era stata rifiutata dal Maestro, il quale si piega, solo a fronte dell’esborso astronomico, del Teatro di San Pietroburgo per la rappresentazione del 1862, di cui resterà ampiamente insoddisfatto (come spesso accadeva ancora allora, per le Opere su Commissione: foriere fin troppo spesso di risultati deludenti,  fino al Fiasco Assoluto). 

Il Maestro ammette apertamente che per questo lavoro occorrono 6 grandi voci e interpreti. Ed è talmente vero che nessuna delle edizioni su Lp, Cd, DVD o altro supporto si avvicina alle 6 interpretazioni, se non perfette, almeno buone: ripeto, nessuna; neanche la migliore (o, forse, dovrei dire la “meno peggio”?). 

Contentiamoci allora del  più accettabile dei compromessi, in campo vocale. 

L’ edizione dell’ Inaugurazione Scaligera, per quello che riguarda la Direzione orchestrale, ha visto il Maestro Chailly (che ha onestamente ammesso l’ altissima complicazione di questa partitura, pensate: assente da Milano da 60 anni! Compreso? 60 Anni...chissà perché!?!), particolarmente impegnato sul fronte musicale ed esecutivo, anche con indubbia bravura. 

Purtroppo del “calore” e ”colore” autenticamente verdiano, per ciò che attiene l’orchestra, se ne è sentito poco e, more solito, a intermittenza. Ma non è un discorso circoscritto a questo titolo, è nel DNA di Chailly, la tendenza sì alla limpidezza e trasparenza come alla “frigidità interpretativa” su molti titoli, lirica o sinfonica che sia. 

A mio giudizio dei sei protagonisti in campo i migliori sono stati il baritono e  il mezzo soprano, ovvero il Don Carlo di Tezier e la Preziosilla di Vasilisa Berzhanskaya. Il primo ha offerto una raffigurazione sinistra del personaggio roso dall’ossessione dell’onore ferito e dall’ implacabile vendetta, sapendo anche piegarsi ai momenti colloquiali e affettivi: ottimo esecutore e bravo interprete. La seconda, una Preziosilla irriverente, provocatoria, e sfacciata: interpretativamente centratissima, forse solo un po’ vuota nelle note gravi; ma vibrante e quasi lucente in quelle acute. Notevole! 

Dei due frati (Melitone echeggia evidentemente Don Abbondio, la parte bieca della Chiesa, mentre il padre Guardiano ricorda da vicino Fra Cristoforo, la parte alta, tendente al Sublime: Verdi ha da poco incontrato Manzoni, che venera), il bilancio, complessivamente positivo è, ovviamente, diversificato. Vinogradov, come Guardiano, ha un colore chiaro, da bass baritone: le intenzioni ci sono, e sono buone; ma la poderosa sacralità di altri cantanti è altra cosa. Per Marco Filippo Romano (unico cantante italiano in campo dei sei: 1 su 6 di italiani: “O tempora”!!!), l’accento cinico, egoista, ipercritico, mi piace molto. Bella e comunicativa la voce: degno seguace del mitico Bruscantini. 

Forse questo articolo potrebbe sembrare, almeno per ciò che riguarda i cantanti, un po' “Il Mondo alla Rovescia”: ma tant’è! Abbiamo, in coda, tenore e soprano.  Motivo semplicissimo! Non ci sono, mai o quasi mai, gli interpreti. Abbiamo personaggi frigidi, algidi (a Chailly va bene cosi!). Con l’ aggravante che nei bassi la Netrebko pompa molto artificiosamente. 

Senza volere distinguere con troppa puntigliosità, mi limito a constatare che il tenore Brian Jagde veramente dà la sensazione di conoscere assai poco il senso della nostra lingua, e ancor meno quando, spesso, deve cantare su sonorità contenute. Voce certo poderosa e squillante, ma intimamente frigida. 

Discorso in gran parte analogo per Anna Netrebko: probabilmente c’è un fondo di vero quando Bruno Vespa dice che è in ottima forma, in alto, come integrità vocale (in alto). Poi resta il registro basso, e più ancora, more solito, il “calore” e “colore” verdiano, diciamo 2/3 volte su 10: un po’ pochino per una soprano di fama intercontinentale! Comunque un’oncia meno frigida rispetto a Jagde. 

Almeno consoliamoci con l’ eccellente prova del Coro, che non si smentisce mai, guidato dal Maestro Malazzi. E dalla stimolante idea registica di Muscato: concetto, vincente: “la Ruota del Destino”. Si comincia dal 18° Secolo (correttamente), e su questo enorme disco rotante (che impone molto cammino a ogni singolo personaggio), si passa al secolo 19°, poi alla Prima Guerra Mondiale, poi ai nostri giorni: tutto, solo e sempre, intorno a soldati, esercito, spade, fucili, sangue. 

Le fasi continue, l’eterno flusso della civiltà della Specie Umana, solo e sempre, implacabilmente, scandite dalla Guerra (la lista infinita di conflitti come si vede sul computer in “Wargames”; fino all’ultimo stadio che ci annienterà per sempre: “Guerra Termonucleare Globale”). 

Ci stiamo arrivando?!? Mi sembra (ironicamente), che siamo proprio sulla giusta direzione. 

Siamo davvero (ironicamente) partiti con il piede giusto!?! Che bravi! 

Domenico Maria Morace.

La serata RAI in ascolto su: https://www.raiplay.it/video/2024/12/La-forza-del-destino-Teatro-alla-Scala-2024-294ba467-4ba0-4dee-bf71-bb25f459c6c4.html

 

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