Pollock Project: Speak Slowly Please!
Quando la Musica incontra le tendenze più contemporanee di ciò che è Arte e di ciò che ancora non lo è, almeno secondo la dizione tradizionale che il mondo dirige sempre verso quel che non conosce, è spesso possibile incontrare i discorsi più originali, gli allontanamenti necessari da Forme e Formalismi, la Sostanza di Idee che lasciano pensare che il Divenire stia in realtà già avvenendo.
Di questo Pollock Project ne sa parecchio, e da sempre: il quarto album conferma (anche troppo facile dirlo) la loro creatività, che prosegue itinerari già inaugurati, sorveglia la compostezza di arrangiamenti che s’immergono sempre più in un linguaggio multimediale che, per brevità e per chiarezza, diremo Art Jazz, sebbene il termine non designi appieno i tanti contorni estetici di cui Speak Slowly Please! è composto, performance multiforme, multiculturale, policentrica, divagante e visionaria tanto quanto l’Action painting del Maestro statunitense cui, a partire dal nome scelto, s’ispira sia per il singolare Segno “musipittorico” sia per l’ampiamento del calibro tecnico e tecnologico.
Pollock Project predilige il Surreale, lo scorrere del Suono visto nelle Variabili dell’Avanguardia e allo stesso tempo nella consapevolezza delle proprie radici filosofico-musicali, delle quali paiono assolutamente consapevoli i quattro protagonisti, ognuno per la parte che ha scelto, ognuno per il contributo che dà ad un lavoro d’equipe, ad un interplay nel quale dar voce corale alle sei composizioni di Marco Testoni e alle due riletture di Essenze straordinarie del Contemporaneo, il capolavoro So What di Miles Davis ed il distonico Colpo di Genio Watermelon in Easter Hay di Frank Zappa. A proposito, per esperienza sappiamo che gli Omaggi parlano a volte ancor più chiaramente dei brani originali, essendo Figure di Riferimento, Aspirazioni da raggiungere e Proiezioni inconsce, Polinomi nei quali accordare il proprio Presente ad un Futuro sentito vicino da raggiungere: Zappa e Davis, un connubio più che possibile, un Mash Up storicamente non avvenuto ma che senz’altro avrebbe potuto essere e che sentiamo possibile nell’Intuito Pollock Project, una Ipermodifica dei codici interpretativi che include non solo le esperienze di Brian Eno, di Ryūichi Sakamoto e dei Weather Report, ma anche le suggestioni ipnotiche della Classica Contemporanea, della World Music e del Jazz Rock.
Ne parliamo con Marco Testoni.
d. Considerando i tre album che precedono l’uscita di Speak Slowly Please!, fedeli alla Linea, no?
r. Dal primo disco ad oggi abbiamo sempre cercato di essere e restare visionari raccontando con i suoni quello che è intorno a tutti noi. In piena libertà e senza alcun pregiudizio. Mescolando stili, tecniche e personali esperienze umane. Questo disco è un po’ un concentrato di tutto quello che abbiamo incontrato e metabolizzato sinora. Ogni tanto mi domando qual è il senso finale di un gruppo come Pollock Project. Forse siamo un ponte costruito per chi ha voglia di viaggiare, non certo per chi deve trasportare merci. Sennò a cosa serve fare musica?
d. Qualcosa cambia negli arrangiamenti, nella dosatura delle sonorità elettroniche e nei “primi piano” degli effetti?
r. In questo senso per me non è cambiato molto. Ho sempre pensato che l’elettronica sia uno dei tanti ingredienti della musica, forse in questo disco ce n’è un pochino di più ma non credo poi sia molto importante. E’ un po’ come chiedere a un pittore perché ha usato in un quadro molte tonalità bluastre, a Jimi Hendrix perché usava il distorsore o a Schönberg perché mai si fosse fissato con la Dodecafonia. Mettici poi che lavorando nella musica per immagini, dove nessuno si scandalizza degli abbinamenti timbrici, ho da tempo iniziato ad interessarmi di Sound Design.
d. Speak Slowly: “parlar piano” (senza alzare il tono della voce, scandendo nel giusto Tempo) come riferimento alla vorticosa celerità col quale oggi viene trasmesso il messaggio musicale (e non solo musicale), una riflessione sui Tempi Eccessivi (e avventati, a tutto svantaggio della comprensione) dei nostri Tempi?
r. Parlare lentamente è il modo più naturale per cercare di farsi capire da chi conosce poco la tua lingua. Questo disco nasce dalla necessità di farsi capire. Parla di emozioni e di “tocco umano”. Per la prima volta utilizziamo dei testi e anche la forma canzone, seppur adattata al nostro stile. In definitiva cerchiamo testardamente di continuare ad essere musicisti e artisti in un tempo dove è molto difficile esserlo. Soprattutto per chi non vuole assomigliare a nessuno.
d. Frank Zappa- Miles Davis: omaggi che parlano della vostra scelta di un Art Jazz memore tanto di certe splendide storiche Blue Notes quanto del vigore satirico, provocatorio e iconoclasta di un’Avanguardia che ha segnato la Storia della Cultura del 900. Quale il nesso?
r. La prima cosa che mi viene da dire è che hai colto l’abbinamento Davis-Zappa nella scelta dei tributi. Qualche decennio fa ci avrebbero crocifisso per questo, oggi invece no. Probabilmente perché l’ascolto è molto cambiato, in questo senso in meglio direi. Ci sono fortunatamente meno steccati ideologici e più apertura mentale. Peraltro Zappa e Davis sono stati precursori, visionari e poco inclini al purismo. Differenti certo ma molto più simili nell’approccio di quanto si pensi. Io poi sono uno zappiano convinto ed era da tempo che volevo reinterpretare qualcosa di suo che potesse essere assimilato dallo stile di Pollock Project. Un giorno mi sono imbattuto in un video dove Dweezil, il figlio di Zappa, suonava commuovendosi Watermelon In Easter Hay: un pezzo lirico ed emozionale molto diverso dallo Zappa che conosciamo. Con questa scelta credo di aver fatto un gran regalo a Mats Hedberg, il chitarrista che da questo nostro quarto disco è entrato in pianta stabile nel gruppo.
d. A questo proposito vorrei sottolineare il contributo di Mats Hedberg per il suo modo d’interpretare perfettamente consono allo stile Pollock Project, pur conservando intatta la sua individualità di chitarrista amante di Metal e World. La sua presenza mi sembra davvero importante…
r. Eclettico. Questo è il primo aggettivo che mi viene in mente per definire Mats. Probabilmente è per questa sua caratteristica che è anche il musicista con il quale collaboro da più tempo. Da molto prima di Pollock Project. Per cui quando alla fine è entrato definitivamente è stato abbastanza facile per lui entrare in sintonia. Con lui stiamo preparando un disco in duo che uscirà presto.
d. Molto nel Progetto-Pollock la “pittura vocale” di Elisabetta Antonini, tanto astrale quanto composta e attenta…Credo che in questo quarto disco lo stile di Elisabetta venga esaltato.
r. Sì, ne sono convinto. Elisabetta ha una particolarità capacità di tirare fuori colpi di autentica genialità quando meno te lo aspetti. Caratteristica che nel tempo ho imparato ad apprezzare e forse anche a sollecitare. In questo quarto disco l’impronta vocale di Elisabetta è veramente incisiva. Credo dipenda dal fatto di aver trovato ormai il suo spazio espressivo e aiutata finalmente anche dai testi.
d. E molto nel Progetto anche il sax di Simone Salza, abile a volare fra i vostri tipici Colori…
r.Simone merita un capitolo a parte. Oltre che un’amicizia con lui si è sviluppato un autentico e particolarissimo interplay che ha segnato profondamente lo stile più recente di Pollock Project. Ma oltre questo è un grandissimo professionista con una sensibilità immensa. Con lui condivido il lavoro nell’ambito della musica per il cinema e serie tv che facciamo al di fuori del gruppo. Insomma veniamo dallo stesso ambiente lavorativo e utilizziamo lo stesso linguaggio. Siamo abituati alla dura legge del Sync con le immagini ed è proprio per questo che l’ho coinvolto in MAJE, un’opera multimediale dedicata alla Mobile Art che ho scritto insieme ad Andrea Bigiarini e i fotografi del New Era Museum e che abbiamo presentato al Macro e all’interno di spazi d’arte contemporanea come il Klimt ed il Monet Experience.*
d. Tu ne fai proprio tante…le tue predilette percussioni, poi al pianoforte, alle tastiere e nel luogo magico del programming; e poi componi…a proposito: come componi? A chi e cosa pensi quando scrivi su quella “carta bianca” che sempre agita ed eccita? Fra i Ringraziamenti per l’album trovo i nomi di Marcel Duchamp, Julio Cortàzar, Pablo Neruda; Miles Davis e Frank Zappa sono già nella tracklist. Ah, che Maestri!
r. Hai ragione, ne faccio veramente tante! Sono innamorato della conoscenza. Per molto tempo ho pensato di avere troppi interessi e di non essere capace ai gestirli tutti. Non riuscivo a trovare la quadra del cerchio e questo era veramente frustrante. Ho lavorato con cantautori, scritto e prodotto canzoni, anche per bambini. Da ragazzo facevo teatro, come attore e musicista, ma iniziai anche ad interessarmi di arte contemporanea. Poi ho incontrato la musica per immagini: dal cinema alla videoarte, scrivendoci anche un libro (NDR: Musica e visual media, Dino Audino Editore 2016**). A un certo punto ho capito che se volevo trovare la mia voce dovevo cercare un punto d’equilibrio e credo di averlo trovato nello studio della sinestesia. Da quel momento ogni spunto auditivo o visuale, letterario o cinematografico, tecnologico o spirituale è divenuto l’inizio di un possibile viaggio, di un’azione creativa. Questo si traduce in una costante osservazione di quello che ho intorno, un continuo apprendistato dove non si smette mai di imparare.
d. La formazione del Pollock Project mi sembra aver trovato stabilità artistica e grande capacità di ”leggere dentro”, d’intuire cosa abbia in mente chi di voi quattro suoni. Di solito usiamo il termine inglese interplay per esprimere questa concordanza, che però in questo caso mi sembra anche riduttivo…Come e quando incidete? Dopo aver concordato le “parti”, dopo un confronto aperto? Oppure c’è fra voi un Direttore Artistico a supervisionare?
r. Scrivendo i pezzi sono effettivamente io a supervisionare il tutto. In generale si parte quasi sempre da una sequenza di accordi con alcuni temi e parti scritte o un Loop sincronizzato a un video. Poi, dopo aver dato qualche particolare indicazione, ognuno improvvisa o interpreta la sua parte. Infine la palla torna a me che edito, taglio, elimino o aggiungo. Il distillato finale è il risultato di varie stratificazioni compositive, improvvisazioni o intuizioni a posteriori. E qui se vuoi puoi capire perché Pollock, l’artista, continua ad essere un faro.
d. Non possiamo fare a meno di ricordare chi a suo tempo ha segnato in modo indelebile l’Idea Pollock, e che purtroppo ci ha lasciato la scorsa estate: Max Di Loreto, un batterista mai sostituito, e forse non a caso…
r. Non c’è giorno che non mi ritorni in mente. Conoscevo Max da quando era un bambino perché siamo cresciuti nello stesso quartiere di Roma, a Monte Mario. Grazie a lui ho conosciuto quello che sarebbe diventato il mio strumento principale: l’Handpan. Max è stato un musicista versatile, istintivo, e suonava un’incredibile varietà di strumenti. Avrebbe potuto essere anche un ottimo cantante visto il timbro profondo della sua voce. Era molto legato all’esperienza con Pollock Project e credo abbia vissuto con sofferenza il distacco dal gruppo. Ci eravamo rivisti poco tempo fa scambiandoci i nostri rispettivi dischi e prendendoci in giro con affetto. Avrebbe voluto ricomporre il trio originario ma non era più possibile. Purtroppo, come molti musicisti sanno, la musica quando è intensamente vissuta può unire ma anche maledettamente dividere.
d. Al Pollock Project piace viaggiare…dove volete arrivare?
r. Potrei dirti che il nostro è un percorso che vuole assimilare qualsiasi musica o espressione artistica che attiri il nostro interesse. Ma in realtà non so dove arriveremo. Non lo so anche perché perdersi durante un viaggio è il modo migliore per trovare qualcosa di nuovo e inaspettato. E forse è meglio.
Fabrizio Ciccarelli
Pollock Project, Speak Slowly Please! Be Human Records 2017
Marco Testoni: pianoforte, handpan, percussioni, tastiere, cori, programming
Simone Salza: sax soprano, sax alto
Elisabetta Antonini: voce, live electronics
Mats Hedberg: chitarre
special guests:
Giancarlo Russo: basso in Unnecessary
Guido Benigni: basso in Speak Slowly Please!
Primiano Di Biase: pianoforte in So What
01.L As In A Gift – 05:09 (K. McCarthy – M. Testoni)
02. Unnecessary – 04:44 (M. Testoni – N. Alesini)
03.Speak Slowly Please! – 05:22 (M. Testoni)
04. So What – 04:07 (M. Davis)
05. Nana – 04:53 (M. Testoni)
06 .Impossible Humans – 05:08 (M. Testoni)
07. Pe no Chao – 05:43 (M. Testoni – N. Alesini)
08. Watermelon in Easter Hay – 04:15 (F. Zappa)
* cfr: https://www.romainjazz.it/index.php/live-report/406-testoni-salza-maje-klimt-experience-roma-11-5-18
** cfr: https://www.romainjazz.it/index.php/recensioni/191-marco-testoni-musica-e-visual-media