macCoyTyner-The real McCoy

McCoy Tyner, The Real McCoy, Blue Note 1967. Vinile 2022

Il disco, il dopo Coltrane, il ricordo ad Umbria Jazz 85.

Figlio spirituale di John Coltrane col quale collaborava da sette anni, McCoy Tyner aveva già registrato alcuni dischi a suo nome, però, quando entrò in sala il 21 aprile 1967, una nuova verve lo assalì, quella di dare al post bop un contributo la cui via maestra proveniva dagli insegnamenti del grande Trane ed il voler dimostrare che nel sound del maestro c’era senz’altro qualcosa di suo (non che mai si sentì un mezzadro, una seconda linea, ma è evidente che la visionaria potenza innovativa del sassofonista avrebbe potuto seppellire la sua carriera sotto lo straordinario stream of consciousness coltraniano, e di questo probabilmente il pianista di Philadelphia era piuttosto consapevole).

Lasciato lo storico quartetto di Coltrane, The Real McCoy (da riflettere sul titolo) fu un atto liberatorio che impose la sua statura artistica, come pianista e come compositore, all’attenzione di un pubblico e di una critica che non sempre vedeva di buon occhio le coloriture di un post bop affine alla rivoluzione del Free, che non sempre intendeva le cascate di note impulsive dell’eccellenza della sua tecnica strumentale che lo impose al mondo jazzistico come formidabile solista.

L’album è una possente scarica d’energia vitale fin dall’incipit di Passion Dance, pozione vivace, articolata, immediata e complessa nel drumming combattivo di Elvin Jones (un altro figlio spirituale di Coltrane), nel fraseggio fluido di Joe Henderson al sax tenore e nel posizionamento sempre esatto e creativo del contrabbasso del magnifico Ron Carter, in linea con il voicing accordale e l’ampliamento delle armonie delle improvvisazioni di Tyner, sovrapposte tra diverse configurazioni metriche come in Four By Five, liriche e oniriche nel lirismo delle pause di riposo di Contemplation e Search For Peace.

Le sequenze pianistiche di Tyner, metafisiche nel loro senso di vita, danno vita ad una singolare risonanza attraverso una leggerezza di tocco che darà impulso a molti strumentisti dagli anni 70 ad oggi, sollecitata da un quartetto di eccellenti inventori, essenziali per la spiritualità di un album che reputiamo tra i più importanti per le Blue Notes moderne, con un plauso particolare per gli splendidi soli di Joe Henderson, gli incontenibili giochi di spazzole di Elvin Jones e le conformità estetiche del cordofono di Ron Carter.

The Real McCoy è uno dei dischi più significativi ed entusiasmanti del Jazz moderno, scritto ed interpretato da quel Tyner deus ex machina di metrica, soluzioni progressive, amore incondizionato per la tensione dell’excursus narrativo e l’estensione poetica per spazi ampi e inquieti, agitati nel segno di una forte autonomia di pensiero, come sempre attendiamo dal Jazz contemporaneo.      

Dopo questo capolavoro, Tyner diede vita ad un periodo nuovo che iniziò con “Enlightenment” (Milestones 1973), attraversando la brillantezza pianistica dell’eccellente “Sama Layuca” (1974), e terminò con “Horizions” (1980) per poi tornare ad una visione jazz più vicina al suo primo stile, incidendo più di un disco l’anno con numerose case discografiche dall’81 fino al 2009 (indichiamo come più rappresentativi gli album “In New York” (Dreyfuss 92), “Plays John Coltrane: Live at Village Vanguard” (Impulse! 2001) e “McCoy Tyner Solo: Live from San Francisco” (Half Note Records 2009).

Egli suonò spesso dal vivo con esiti raffinati e coinvolgenti come nel superlativo “Umbria Jazz” del 1985: indimenticabili performances della “Liberation Music Orchestra” (realizzazione del sogno musicale di Charlie Haden di coniugare una musica appassionata e l’impegno politico terzomondista), dell’inaccessibile Miles Davis che amava suonare spalle al pubblico con la sua tromba rossa elettrificata, che invece allo Stadio Curi si divertì ad eseguire lunghe improvvisazioni proprio in mezzo alla gente, gruppo di spalla il “Pat Metheny Group” e, scusate se è poco, i “Jazz Messengers” di Art Blakey, Horace Silver tornato con il suo quintetto, i colpi di pancia di Fats Domino al suo pianoforte, più il concerto in piazza di Stevie Ray Vaughan.

Si pensi che Tyner era stato chiamato solo all’ultimo per sostituire Jaco Pastorius rimasto a New York perché in un attacco di follia aveva bruciato il passaporto, e Tyner offrì una clamorosa prova di virtuosismo e intensità mandando in visibilio un pubblico molto eterogeneo, in buona parte estraneo alle Blue Notes e con un gruppo di idioti sedicenti Autonomi per il Comunismo che non seppero far meglio che saccheggiare ululando scemenze circa una squadristica “spesa proletaria” in ogni negozio e negozietto dalle parti dello storico Corso Vannucchi di Perugia, disturbando, sbronzi e strafatti, con urla oscene e cazzate d’ogni tipo l’ascolto di quei centomila appassionati arrivati da ogni parte d’Italia nel capoluogo umbro per godere di un evento atteso da mesi, nefandezza inspiegabile che non voglio pensare permessa ma almeno per nulla ostacolata dalla pretura e dal sindaco...Io ero lì, e fui costretto con i miei amici a riparare tra le mura di appartamenti per studenti stranieri, assistendo all’interruzione di parecchi concerti proprio dove il Jazz ed ogni bellezza delle gallerie artistiche e dei musei etruschi finiva nelle mani di coglioni violenti e ignoranti. Si perdoni il ricordo personale, ma anche questo fece parte di quegli anni in cui molti jazzisti espressero apertamente il loro disgusto per tali barbarie: tra loro proprio McCoy Tyner, divulgatore di idee pacifiste sino all’ultimo anno della sua esistenza terrena che terminò il 6 marzo 2020, non dopo aver dato egregia prova di sé nel Concerto “A La Villette” del 2016 di cui abbiamo già detto (https://www.romainjazz.it/live-report/629-mccoy-tyner-jazz-a-la-villette.html) , testamento spirituale di un Hard Bop viscerale, astrale, umano, vistoso e crepuscolare, frequenza altissima di un “continente nero” amato in modo assoluto.  

Voce interiore plasmata dal Pathos di Joe Henderson al sax e dalla ritmica istintiva ed empatica di Ron Carter ed Elvin Jones, ogni brano di questo album è una pagina fondamentale della Musica contemporanea.  

Fabrizio Ciccarelli

McCoy Tyner – piano, composition

Joe Henderson - tenor saxophone

Ron Carter - bass

Elvin Jones – drums

"Passion Dance" – 8:47

"Contemplation" – 9:12

"Four by Five" – 6:37

"Search for Peace" – 6:32

"Blues on the Corner" – 5:58

Da ascoltare in https://www.youtube.com/watch?v=0zdoOyeRTCA&list=OLAK5uy_nWXm4PZn0z31VXBsGYON-CMQYaFU4Pp8k

 

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